IL VECCHIO E IL NUOVO BAGNO PENALE
DELLA CAVA REGIA DI POZZUOLI
Sfogliando il volume “Campi Flegrei
Observations on the Volcanos of the Two Sicilies” di William Hamilton la mia attenzione
è attratta, tra molte altre, dalla tavola XXIII [1].
Una gouache disegnata da Pietro Fabris che immortala
un tratto della via Regia, attuale via Napoli tra Pozzuoli e Bagnoli, dove oggi
s’innalza un muraglione di contenimento, in cemento armato. Esso è stato
costruito dopo il 1970 per salvaguardare la strada dalla purtroppo verificatosi
caduta di massi di trachite del Monte Olibano; rovinosi crolli hanno causato
non poche vittime.
Dalla riferita tavola di Fabris si nota, ai
piedi della collina dove ora c’è il muraglione, una fabbrica adibita a bagno
penale; ovvero quartiere dei condannati ai lavori forzati utilizzati come cavamonti
in questa petriera puteolana che sfrutta la trachite che conforma il Monte
Olibano.
I bagni penali nascono alla fine de settecento,
in coincidenza con la fine dell’utilizzo delle galee, quando non c’è più
necessità di mano d’opera ai remi.
I detenuti sono adibiti al duro lavoro di
estrazione dei blocchi di trachite e loro trasformazione, mediante taglio e
sbozzatura. I blocchi più grandi sono trasformati in basoli stradali, in
panchine, pezzi di incrostatura e i più piccoli in pietre per fabbriche murarie,
scalini e rivestimenti. I pezzi non lavorati o di scarto sono utilizzati come
scogli o scardoni e tutto il materiale è poi trasferito a mezzo barconi o
bilancelle che approdano su improvvisate insenature ricavate sulla vicina e
frastagliata linea di costa [3].
Per tutta la prima metà dell’ottocento è un
continuo lamentarsi di detenuti, e degli stessi custodi, per le lacunose
condizioni del carcere; freddo d’inverno e caldo d’estate, misere le condizioni
delle latrine e dei dormitori superaffollati, totale mancanza d’igiene nella
cucina e nella bettola gestita da un privato.
Come si nota dalla gouache gli spazi, che
comprendono anche posti di guardia, sono ristretti e, causa l’addossamento alla
collina e la vicinanza alla strada Regia, non passibili di ulteriori ampliamenti.
Poiché c’è sempre più richiesta di basoli e
di scogli c’è anche necessità di aumentare il numero dei forzati, pertanto nel
1846 l’amministrazione borbonica progetta di trasferire il bagno penale in un
vicino ma più adatto sito.
A tale scopo è scelto il primo pianoro
disponibile in direzione della città di Pozzuoli, subito dopo la curva dove c’è
il fortino e una edicola eretta nel 1571. Questa conteneva una lapide a ricordo
dei difficili lavori di costruzione della Regia Strada in quel luogo che prima
era accessibile alle sole capre.
Il nuovo carcere è costruito nella “parule” tra
l’antico Bagno termale chiamato Subveni Homini ricostruito dai Padri Gerolomini
nel 1737 e il medioevale ma scomparso Bagno termale di Sant’Anastasia, detta
anche dell’Arena per la sorgente sgorgante proprio sulla sabbia.
Queste ultime acque saranno poi sfruttate da
quelle che conosceremo prima come Terme Barone e poi Terme la Salute [4].
Non ho trovato tracce di descrizioni circa la
quadratura e l’architettura dell’edificio carcerario che, pur essendo rimasto
quasi identico nei suoi volumi, è oggi occultato alla vista di chi percorre la
moderna via Regia (quel tratto oggi denominato Corso Umberto I) per i corpi di
fabbrica frontali aggiunti nel novecento.
Lo schema dell’edificio è definito, nel gergo
dell’architettura carceraria moderna, “auburniano” perché il primo carcere di
questo tipo entra in funzione nel 1825 ad Auburn negli Stati Uniti. In Europa
fino a tutto l’ottocento la scelta dei bagni penali ricade su vecchi conventi o
fortezze ma in America, non esistendo queste tipologie di costruzioni
medievali, le carceri sono costruite ex novo ed ancora oggi i piccoli penitenziari
delle contee sono identici al carcere costruito a Pozzuoli.
Queste strutture ben si inseriscono nel
contesto urbano e presentano una pianta ad “U”, all’interno della quale gli
spazi sono organizzati in funzione degli ospiti e del concetto di lavoro cui sono
destinarli. La pianta ad “U” è spesso chiusa sul quarto lato, quello frontale
come a Pozzuoli, da grandi ambienti comuni che così vanno a delimitare e chiudere
un cortile interno [5].
Ai piani superiori si accede da doppie scale ubicate
sull’ala posteriore che immettono in vasti spazi destinati al passaggio
collettivo. Nel contempo è ridotto lo spazio destinato al singolo detenuto che alloggia
in ampi stanzoni in compagnia di numerosi altri condannati. Così l’ampiezza
delle celle è svalutata dal gran numero di occupanti ma in esse è previsto che
i detenuti rimangano solo per il riposo notturno, ed è questo il caso del
carcere puteolano i cui ospiti giornalmente sono impiegati esternamente nella
vicina cava di trachite.
Non sono presenti celle di punizione poiché
nel caso sono i condannati sono inviati al penitenziario di Nisida che ben fornito
di ambienti “correttivi”.
In questo tipo di costruzioni sono comunque
ancora presenti vari elementi (come corte interna, aspetto possente, tromba
scale esterne) chiari riferimenti sia al modello monastico sia al palazzo
fortezza sia al moderno modello di fabbrica che sta sviluppandosi in piena
rivoluzione industriale.
Da un documento del 1850 apprendiamo che esso
è già in funzione poiché a Pozzuoli ci sono 140 detenuti nel bagno vecchio e
268 nel bagno nuovo; altri 684 sono poi a Nisida che ospita anche forzati
preti.
Non si hanno molte notizie sull’uso di questo
carcere, anche perché la sua utilizzazione gravita tra la fine del Regno delle
Due Sicilie e l’inizio del Regno d’Italia. Certo è che subito dopo l’unità
italiana Nisida e Pozzuoli diventano dei veri e propri super carceri perchè vi sono
rinchiusi anche soldati arresosi a Gaeta e detenuti filo borbonici accusati di
reati politici.
Qualche accenno lo si trova nel volume
“Pozzuoli 1860/1863” di Maurizio Erto il quale riporta un rapporto dei
Carabinieri del 27 giugno 1861 in cui si dice che i due bagni di Pozzuoli,
ovvero Nisida (che allora apparteneva al Comune di Pozzuoli) e Petriera
ospitano 357 galeotti. Un poco troppo, continua il timoroso rapporto, per una
cittadina di 10.000 anime considerando che nella parte alta di Pozzuoli, ovvero
nell’ex Convento di San Francesco, sta per entrare in funzione un terzo bagno
penale che ospiterà altre centinaia di detenuti.
Il tutto è confermato dall’abate Giuseppe de
Criscio il quale riferisce che nel 1862 il nuovo carcere detto di San Francesco
(attuale penitenziario femminile) è dichiarato “Bagno Centrale” ed ospita 460
detenuti contro i 250 condannati al lavori forzati presenti nel bagno della
Petriera sulla via Regia.
Numerose sono le evasioni o loro tentativi;
il 3 maggio 1861 si verificano a Pozzuoli violenti tumulti, preludio ad un
tentativo di evasione in massa sia dal vecchio che dal nuovo carcere. Questo è
confermato dalla confessione resa dalla moglie di un condannato per furto;
secondo la donna i motivi vanno ricercati nelle misere ristrettezze in cui vivono
i servi della pena e il meschino salario che ricevono per il lavoro nelle cave.
Per un certo periodo sono sospese le uscite
dei detenuti e sono intensificate le indagini per scoprire eventuali complici,
specie tra i barcaioli di Pozzuoli, di Bagnoli e di Coroglio.
Da personali ricerche sono risalito al diario
di Emile Theodule De Christen, un nobile francese che ha combattuto volontario
nelle file delle truppe borboniche a difesa del suo ultimo Re Francesco II e
infine arrestato, nonostante la promessa di amnistia rilasciatagli contro la
deposizione delle armi. Mi riprometto al più presto di riportare sul mio blog
la sua interessante e disinteressata esistenza.
Al processo, come da copione, De Christen,
che è nel carcere napoletano di Santa Maria Apparente da oltre un anno, è
definitivamente condannato a dieci anni di galera e la sua prima destinazione è
il nuovo bagno penale di Pozzuoli; leggiamo direttamente il suo diario [6]:
«Giovedì
15 gennaio 1863 - II Capo Custode della prigione di Santa Maria ci risvegliò e
ci ordinò di alzarci avvertendoci che alcuni gendarmi ci aspettavano per
condurci alla galera. Chiesi di vedere il console di Francia, ma mi fu negato;
e avendo io fatto osservare che il sig. de Bellègue avea domandato di essere
avvisato in caso di nostra partenza, mi si rispose che il console francese e la
Francia non aveano a veder nulla in questo affare.
I sigg.
Caracciolo, De Luca e me scendemmo nella sala di aspetto dove un maresciallo
d'alloggio di gendarmeria venne per istringerci i polsi nelle manette. E queste
ci furono strette con tanta violenza da farne spicciare il sangue dai pugni.
Fummo
condotti sulla strada di Pozzuoli, a piedi, tutti e tre legati. Il maresciallo
d'alloggio ci consentì di prendere una vettura a nostre spese, e ci fé'
accompagnare da gendarmi a Cavallo. Nel mentre attraversavamo il villaggio di
Fuor-di-Grotta, la popolazione si fece sul nostro passaggio e ci dimostrò
francamente la più viva simpatia. La scorta ebbe il rinforzo di due gendarmi
nell'uscire dal villaggio; vedette a cavallo perlustravano la via a brevi
distanze, ma ciò non impediva ai contadini di correrci incontro e salutarci.
Arrivati
a Pozzuoli, fummo condotti nel cortile del bagno. Un forzato portò tre catene del
peso ciascuna di cinquanta libre, dicendomi che bisognava che ci facessimo
mettere i ferri. Il primo fu Caracciolo, venne quindi la mia volta, per ultimo
fu De Luca. Le catene ci furono ribadite ai piedi. Durante l'operazione un
colpo di martello caduto in falso pestò il piede di de Luca. Fummo poscia
spogliati di tutti i nostri abiti e ci si perquisì in modo ributtante e
finalmente fummo collocati entro celle poste all'ultimo piano della galera.»
[Il regolamento di disciplina prevede varie
lunghezze per le catene che vanno da sei fino a diciotto maglie per quelle che
servono ad accoppiare a due a due i forzati. Vari erano i pesi che potevano
arrivare, come visto sopra, a cinquanta libbre, ovvero oltre ventisei
chilogrammi]
«Venerdì
16 gennaio 1863 - Abbiam passato una notte spaventosa; nella mattina,
l'officiale contabile del bagno ci fece discendere a turno per fare la nostra
toletta. Io scesi per primo; mi furon tagliati i capelli, i baffi, e fui
rivestito del costume di forzato, abito e beretto rosso, pantalone e cappotto
color cioccolatte. Lo stesso fu fatto a Caracciolo e De Luca.
In quel
momento arrivò il padre di Caracciolo: la sua vista ci cagionò una profonda
impressione. Il povero vecchio non potè ratte-nere le lagrime, e noi ci
sforzammo di nascondergli la nostra emozione per non aumentare la sua. Dopo
essersi trattenuto un'ora il signor Caracciolo fu obbligato ad abbandonarci, e
noi fummo ricondotti nelle nostre celle.
Sabato
17 gennaio 1863 - Alle cinque del mattino, i custodi vennero a prenderci,
annunziandoci che dovevamo essere trasportati al bagno di Nisida. Mi furono
tolti i ferri per rimettermeli subito dopo, e fui attaccato alla stessa catena
di Caracciolo.
Durante
questa operazione che fu fatta al fioco lume d'una lampada mancò poco non mi
fosse spezzata una gamba. De Luca è ugualmente attaccato alla nostra catena,
locché triplica il peso de' nostri ferri. Domandammo di prendere una vettura:
ci fu ricusata e ne fu giocoforza fare a piedi la strada e incatenati. L'anello
ribadito alle nostre gambe ci ferì crudelmente.»
Intanto nel 1866 la legislazione italiana
sanziona l’abolizione delle condanne ai lavori forzati ma i bagni penali, come
quello di Pozzuoli, continuano ad operare specialmente con condannati per
motivi reazionari o militari.
In questo anno il Regno d’Italia conta ancora
ventiquattro bagni penali marini, cinque “centrali” e diciassette “succursali o
diramatori” con una popolazione di oltre undicimila forzati. Dal bagno centrale
di Pozzuoli, ovvero quello di San Francesco, dipendono quello sulla via Regia
(ora definito vecchio), quello di Nisida, quello del Granatello, quello di
Procida, quello di Gaeta e quello di Santo Stefano; con un totale di 4.572 forzati.
Ancora nel 1876 i detenuti che scontano la
pena dei lavori forzati sono attribuiti alla competenza dei Tribunali Militari
della Marina e solo nel 1891 l’onorevole Zanardelli annuncia l’emanazione di un
nuovo ordinamento giudiziario abolendo del tutto i bagni penali.
A questo punto il carcere puteolano della via
Regia diventa inutilizzabile non essendo ne molto capiente e tanto mena sicura per
essere ubicata in un quartiere che si sta urbanizzando e trasformando in zona
termale.
La struttura è pertanto donata alla Basilica
di Pompei che ne dispone la trasformazione quale casa dei pellegrini [7].
C’è l’intenzione di utilizzarla come casa di
accoglienza per tutti gli infermi che, non avendo possibilità economiche,
vogliono recarsi a Pozzuoli per usufruire delle cure praticate dai locali
stabilimenti termali. In pratica una moderna riedizione del Medievale Ospedale
di Santo Spirito a Tripergola e il carcere sulla via Regia, per la sua stessa
conformazione, ben si presta a questo nuovo utilizzo. I cameroni sono adattati
a dormitori maschili, quelli al primo piano, e femminili quelli al secondo;
sono riammodernate cucine, refettori e medicheria; sono inoltre riadattate le
aree scoperte (cortile interno e cortile anteriore) che ben si prestano a
piacevoli soste durante le necessarie pause tra un bagno e l’altro praticato
dalle adiacenti terme [8].
Sembra che tale utilizzazione sia stata di
breve durata e ai primi del novecento la struttura è venduta a privati e
trasformata in civili abitazioni.
Nel cortile anteriore, che immette direttamente
sulla via Regia, è costruito un nuovo enorme edificio costituito da tre corpi
di fabbrica composti, ognuno, da cinque livelli (uno seminterrato, uno rialzato
e poi primo, secondo e terzo piano). Così l’intero complesso, che con questi
lavori assume un armonico aspetto in stile Liberty, è riconosciuto come
“Palazzo Cosimato” [9].
L’ultima notizia letteraria su questo
edificio ce la fornisce lo storico puteolano professor Raffaele Giamminelli nel
suo articolo dedicato a ’u pazz’ Acìto:
«Umberto Acìto, intelligentissimo e vivace
giovane, era laureato in chimica e fu per diverso tempo fidanzato con Elvira
Spadaccini (Pozzuoli, 06 giugno 1909 - Napoli, 14 ottobre 1997), valente
professoressa di matematica nei licei statali, che abitava nel “palazzo Cosimato”
(ex carcere), poco lontano da casa Acìto, verso la località Gerolomini.» [10]
Mi rendo conto che le notizie fornite sono
parziali e qualcuna forse anche errata, ma il mio blog è aperto a chiunque
intenda collaborare e sarò ben lieto di modificare e riportare qualsiasi
notizia mi sia gentilmente comunicata.
GIUSEPPE
PELUSO
REFERENZE
Teresa
Bruno – Storia del Carcere
Theodule E. De Christen - Diario di un soldato
borbonico nelle carceri italiane
G.
De Criscio – Storia Cronologica
Maurizio
Erto - Pozzuoli 1860/1863
Achille
Mauro – Il Bagno Penale della Petriera di Pozzuoli