L’ing. Pier Luigi Nervi ed i serbatoi nafta di Pozzuoli.
Passato e futuro degli avveniristici depositi della Marina
Molti di noi sono stati almeno una volta ospiti
del maestoso auditorium vaticano per partecipare alle udienze pontificie. Questa
grande sala, capace di contenere oltre dodicimila persone, si chiama “Aula
Paolo VI”, dal Papa che l’ha voluta; ma è conosciuta anche come “Aula Nervi”
dal nome del suo progettista, Pier Luigi Nervi (Sondrio 1891 – Roma 1979),
famoso ingegnere italiano autore di grandi opere nell’edilizia civile e
militare [1].
E’ sufficiente ricordare il Teatro Augusteo e
la Stazione Centrale di Napoli, Il Palazzetto dello sport e il Palazzo
Olimpionico dello sport di Roma, lo Stadio Artemio Franchi di Firenze,
l’aeroporto internazionale di Fiumicino, Palazzo Mostra Italia 61 e Palazzo
dello sport a Torino, e centinaia di altre opere realizzate in Italia e
all’estero dal 1920 al 1978; moltissime riprodotte nei francobolli [2].
Anche Pozzuoli annovera una sua realizzazione
composta da ben quindici cisterne sotterranee, in calcestruzzo armato,
destinate all’immagazzinamento di combustibile per conto della Regia Marina.
Benché il fine di quest’opera sia
inquietante, e faccia rabbrividire, nel contempo essa risulta estremamente
affascinante; la sua interna spazialità circolare, scandita dalla geometria
della fitta rete di colonne, ricorda gli spazi ipogei delle antiche cisterne
romane; Piscina Mirabilis di Bacoli e Yerebatan Sarniçi di Istanbul.
Per la sua stessa natura, e per il fine cui è
destinata, per oltre mezzo secolo l’opera è rimasta preclusa e semisconosciuta
nella conformazione della sua struttura.
Nel periodo compreso tra il 1936 e il 1940
l’Italia, protesa verso la guerra futura e consapevole che sarebbero venuti
meno i rifornimenti petroliferi, provenienti da pozzi in possesso dell’impero
britannico, elabora la realizzazione, in località che restano coperte da
segreto, enormi depositi di combustibili destinati allo stoccaggio di gasolio,
kerosene o benzina avio. Pier Luigi Nevi disegna, per la Regia Marina
Militare e la Regia Aeronautica, una serie di progetti per serbatoi interrati e
tra le località prescelte, per la loro dislocazione, c’è anche Pozzuoli perché
dotata di un porto ritenuto strategico.
Pertanto, a partire dal 1939, la stessa
impresa dell’ingegnere, la ditta “Nervi & Bartoli” progetta e realizza
quindici serbatoi interrati localizzati in tre ambiti diversi ma a breve
distanza tra di loro. Son tutti tra loro allacciati e collegati con il molo
Caligoliano e con il pontile Ansaldo mediante un articolato sistema di condotte
interrate.
I
Serbatoi di Via Celle
I primi ad essere completati sono gli otto
serbatoi di via Celle, dislocati in un’area di circa centomila metri quadri,
destinati a contenere nafta per la Regia Marina Italiana [3].
Queste enormi cisterne interrate si trovano in
un vasto apprezzamento di terreno, già agricolo, stretto tra via Celle, via
vicinale Cigliano e la sede ferroviaria della Direttissima Napoli - Roma. Oggi il
territorio è praticamente attraversato dalla nuova strada di rapida evacuazione
a scorrimento veloce, ovvero dal suo primo tratto Solfatara – via Campana.
La tecnica costruttiva utilizzata è quella
dei serbatoi a forzamento preventivo di cui al brevetto n°375055 depositato
dall’ing. Nervi del 1939 “Procedimento e dispositivo per creare e mantenere uno
strato di pressione determinato in valore e direzione, fra due corpi, ad
esempio fra una struttura edilizia e il terreno d’appoggio”. In molti campi
della tecnica è necessario sollecitare due corpi contigui, o uno in presenza
dell’altro mediante una forza prestabilita, e Nervi in questi serbatoi
sperimenta la modalità di forzamento preventivo [4]
I serbatoi sono realizzati a forma cilindrica
(la pianta circolare è utilizzata affinché la struttura si comporti come un
arco soggetto a spinte esterne) con diametro esterno pari a circa 38 metri, e poco
meno quello interno. L’altezza interna è pari a circa 17 metri e quella esterna
complessiva non supera i 20 metri, onde evitare eccessive pressioni sul fondo. Ogni
serbatoio ha la capacità di circa 345mc e all’interno di ognuno ci sono 22
colonne alte circa 16.5 metri [5].
Il mantello perimetrale è costituito da
muratura di tufo, con uno spessore di 90 centimetri, e incamiciatura in lamiera
metallica.
Purtroppo non sono stati ritrovati disegni
originali di Nervi (disegni e foto dell’interno sono relative ai serbatoi di
Palermo) che avrebbero potuto fornire maggiori informazioni sulle
caratteristiche di questi serbatoi che sono i principali tra tutti quelli
costruiti a Pozzuoli.
Sin dal progetto iniziale i serbatoi sono
collegati tra loro mediante una rete di cunicoli, ovvero condotte voltate scavate
nel tufo, larghi 3.00 metri e alti 2.50 e ad essi è possibile accedere anche
mediante alcuni pozzi di discenderia dislocati lungo il tragitto; permettendo l’accesso
al sistema di percorsi sotterranei che ospitano le condotte e ne permettono
l'ispezione [6].
I cunicoli confluiscono, poi, in una grande
camera di manovra e di smistamento, anch'essa interrata, ripartita in tre vani;
uno a pianta rettangolare, gli altri due a pianta trapezoidale aventi tutti altezza
di 12 metri. La camera di smistamento, sala di pompaggio con moto pompa di
travaso, ricopre un ruolo importantissimo per tutto il sistema di serbatoi,
grazie ad essa, infatti, viene gestito il flusso di nafta in arrivo, con navi
cisterna, al porto di Pozzuoli o il flusso di nafta da convogliare sulle unità da
guerra in attesa di rifornimento.
La nafta proviene, o ritorna, al porto
attraverso una ulteriore galleria scavata nel tufo (3.00 metri di larghezza e
2,5 metri di altezza) che, con un percorso rettilineo di 520 metri, supera il
dislivello di circa 60 metri, esistente tra porto e via Celle, con una pendenza
costante inferiore all' 8%. Questa galleria, partendo dalla camera di
smistamento, sottopassa la linea ferroviaria Roma-Napoli, l’attuale rione
Olivetti, le rovine delle cosiddette Terme di Nettuno, la Casa Circondariale, la
Chiesa di Sant’Antonio e spunta nel sottostante Vallone Mandria [7].
Qui l’oleodotto, costituito dalle doppie
condutture che viaggiano per l’intera galleria, si immette nel letto dell’Alveo
Campano [8]
che è poi abbandonato quando giunge sulla provinciale via Miliscola
là dove per moltissimi anni ha avuto sede la Trattoria Cagi [9].
Da questo punto mediante cunicoli, sotterranei
sia ai marciapiedi che alla stessa sede stradale, l’oleodotto raggiunge la darsena
(Valione) di Pozzuoli dove, in prossimità della chiesetta dell’Assunta a mmare,
è stata realizzata una sala munita di pompe, di elevata capacità, in grado
d’inviare il combustibile ai serbatoi ubicati nella parte alta di Pozzuoli.
Dopo la sala pompe l’oleodotto riprende la
sua corsa per raggiungere il molo attraverso un condotto ricavato al di sopra
della scogliera che separa la darsena dal mare aperto [10].
Percorre poi l’intero molo Caligoliano
aggrappato all’alto muraglione - passeggiata [11] per terminare poi la sua
corsa in prossimità del faro dove si trovano attacchi e valvole idonei al
carico o scarico dal naviglio.
I Serbatoi di via Campana
Nei primi mesi del 1940, con la guerra orami
imminente, iniziano i lavori per la costruzione di ulteriori cinque serbatoi,
sempre per conto della Regia Marina. Sono dislocati su di un’area agricola, di
circa 77.000 metri quadri, ed hanno per confini la via Nuova Campana, dalla
quale si accede e dalla quale prendono nome, via Fascione ed il cimitero civile;
area oggi interessata dai lavori in corso per la costruzione del tunnel di
collegamento Tangenziale – Zona Portuale [12].
Presso gli archivi sono stati ritrovati solo
i progetti relativi a tre di questi cinque serbatoi che risultano tuttora
esistenti, anche se completamente interrati ed inaccessibili. Si tratta di
manufatti cilindrici con diametro interno pari a circa 29,50 metri e diametro
esterno pari a circa 33,50 metri. Il mantello perimetrale non supera l’altezza
di 20 metri e l'altezza complessiva è pari a 23,75 metri [13].
Il mantello è costituito da due pareti in
blocchetti cementizi prefabbricati separati da un’intercapedine riempita con
muratura di tufo e malta di calce e pozzolana. La parete contro terra è
realizzata con blocchetti sagomati a “C” ed a “T” con i tubi interposti per il forzamento
preventivo mentre la parete interna è realizzata con blocchetti forati per
garantire la tenuta ed il controllo di eventuali perdite di liquido, così come studiato
nel brevetto n° 348774 del 1937 e come già utilizzato nei serbatoi realizzati a
Palermo.
All’interno del serbatoio sono poi impostati
19 pilastri in calcestruzzo armato per il sostegno della copertura [14].
Il fondo è costituito da una platea in
calcestruzzo armato ricoperta da uno strato di rivestimento idrofugo in asfalto
e sovrastante masso delle pendenze in calcestruzzo magro, su cui vengono messi
in opera gli stessi blocchi forati impiegati per la parete interna del
mantello, con i fori disposti in continuità orizzontale, in modo da realizzare
anche per il fondo lo strato di controllo e tenuta del liquido. I canali
formati dai fori dei blocchi, disposti sia sul fondo che sulla parete, confluiscono
poi in un cunicolo perimetrale dove si possono raccogliere le eventuali
perdite.
L’eliminazione di eventuali fuoriuscite di
gas, nonché l’aerazione per le manutenzioni, sono garantite dagli stessi
blocchi utilizzati nella parete verticale, che fanno confluire i gas in
sommità.
Il fondo, in corrispondenza della base dei
pilastri, non presenta lo strato in blocchi forati, ma è costituito da una
soletta in calcestruzzo con tubi in cemento inglobati e posizionati in
continuità con i fori dei blocchi prefabbricati. Superiormente, completa il
fondo una soletta in calcestruzzo armato dello spessore di 7 centimetri, che
risvolta anche sulla base troncoconica dei pilastri, mentre sotto la platea di
fondazione è previsto un altro sistema per il forzamento preventivo che può
essere impiegato per l’eventuale costipamento del fondo. Si tratta di una serie
di tubi di canapa, disposti ad un interasse di 60 centimetri, nei quali può
essere iniettata malta cementizia a pressione, attraverso apparecchi
opportunamente predisposti; l’azione di costipamento del terreno si sarebbe
ottenuta con la pressione esercitata dalla malta cementizia iniettata.
Anche la copertura è realizzata in più strati;
sui pilastri, posti ad una distanza radiale di 5,30 metri e collegati in
sommità da travi in cemento armato, sono impostate voltine anulari in
calcestruzzo armato gettate su casseforme a perdere in mattoni e livellate
all’estradosso con muratura in tufo. Superiormente una serie di muretti (0.70 m
x 0.30 m) in blocchi di cemento e malta di calce e pozzolana, sormontati da
tavelloni, consentono di realizzare uno strato con aerato per lo sfogo dei gas,
essendo le camere d’aria, così ricavate, collegate tra di loro attraverso fori
predisposti negli stessi muretti. La copertura è poi completata in successione
da uno spesso strato (2 metri) di muratura a sacco in tufo e malta di calce e
pozzolana, uno strato di un metro di spessore costituito da pietrame alla
rinfusa e circa 50 centimetri di spessore di terreno di ricoprimento.
In realtà Nervi ha previsto anche una
variante con copertura blindata che poi non è stata impiegata in questi
serbatoi.
Interessanti sono anche le modalità di
esecuzione dei lavori che Nervi indica minuziosamente in alcuni elaborati
grafici. La prima fase comprende la realizzazione dello scavo anulare armato
per l’esecuzione della parete statica del serbatoio e l’approntamento delle
apparecchiature di messa in carico delle pareti. La seconda fase prevede
l’esecuzione dello scavo interno con la realizzazione della platea, dei
pilastri e delle volte anulari; la terza fase comprende la forzatura e messa in
carico delle pareti; l’ultima fase consiste nell’esecuzione della camicia di
tenuta in gunite, del completamento della copertura e della sistemazione del
terreno.
I cinque serbatoi, oggi detti di via Artiaco
per la nuova denominazione assunta dall’ex via Campana per tale tratta, sono anch’essi
collegati fra di loro mediante una rete di cunicoli larghi 3.00 metri e alti
2.50 metri e tutti confluiscono in una interrata camera di manovra e
smistamento. Da questa camera parte poi un condotto, contenente le tubazioni,
che quasi in via retta giunge alla sottostante provinciale via Miliscola
attraversando il vallone detto “Canalone”, praticamente nello medesimo punto
dove ora giunge il costruendo tunnel che parte dalla stessa zona dei serbatoi e
raggiunge lo stesso luogo, alla via Fasano [15].
Da questa strada l’oleodotto raggiunge il
confinante Stabilimento Ansaldo per terminare la sua corsa sul vicino molo ex
Armstrong. Anche qui troviamo attrezzature atte al carico/scarico (in
particolare per i numerosi sommergibili che presso l’Ansaldo eseguono lavori di
manutenzione e la ricostruzione della nuove e più pratiche torrette) e, nel
piazzale antistante il molo, una sala pompa in grado d’inviare i combustibili
ai serbatoi ubicati nella parte alta di via Campana [16].
Molte fonti affermano che cunicoli
sotterranei, partenti dalla sala pompe di via Campana, arrivino fino alla sala
pompe di via Celle mettendo così in comunicazione, tra loro, i due gruppi di
serbatoi.
I Serbatoi
di via Vecchia Vigna
Gli ultimi due serbatori costruiti sono
commissionati alla fine del 1942 dalla Regia Aeronautica Italiana e posizionati
in via Vecchia Vigna, in un terreno in gran parte selvoso della estensione di
poco più di 30.000 metri quadri [17].
Anche se non vi è ancora una conferma che
tali serbatoi siano stati effettivamente progettati e realizzati dalla Nervi
& Bartoli, ciò è tuttavia molto probabile, in quanto vi si ritrovano
modalità costruttive ed espedienti propri dei sistemi studiati dall’ing. Nervi.
Le due cisterne, destinate a contenere
kerosene o benzina avio, hanno una pianta circolare con diametro di 21,70 metri
ed un’altezza interna netta pari a 7,30 metri. Il mantello perimetrale è
costituito da una parete in calcestruzzo armato spessa 35 centimetri con
un’incamiciatura sulla superficie interna in ghisa dello spessore di 4 cm; lo
stesso lamierino costituisce anche il fondo del serbatoio che poggia
direttamente sul terreno [18].
Sedici pilastri in carpenteria metallica del
tipo ad elementi gemelli, fondati su plinti isolati, sorreggono la copertura
piana costituita da un solettone in calcestruzzo armato, con armature
incrociate, dello spessore di 50 centimetri. Il collegamento pilastro - solaio
di copertura avviene tramite un pulvino metallico tronco conico, dello spessore
di 2 cm, su cui è saldata una piastra metallica a pianta quadrata (0,90m x 0,90
m) collegata mediante tirafondi al solaio. Lo stesso tipo di raccordo si
ritrova anche alla base dei pilastri per il collegamento con i plinti di
fondazione.
La copertura è, inoltre, sostenuta
perimetralmente anche dal mantello, attraverso una serie di puntoni metallici, con
profili al “L” accoppiati [19].
L’accesso ai serbatoi è garantito attraverso
quattro discenderie ricavate nella copertura e da un passo d’uomo, del diametro
di un metro, nel mantello perimetrale, a circa un metro di altezza dal fondo.
Questo accesso è reso possibile in quanto i serbatoi sono collocati in un
terreno in pendio e, quindi, presentano un lato sul versante aperto della
collina [20].
I due serbatoi sono collegati ad una piccola
sala manovre, fornita di pompa di travaso, a sua volta collegata con la sala
principale del gruppo di cisterne ubicate nella zona di via Celle e, tramite
questa, alla rete portuale.
Collegamenti
serbatoi – zona portuale
Dopo aver completato i raccordi tra i serbatoi
di via Campana con molo Ansaldo e tra i serbatoi di via Celle con molo Caligoliano
si provvede a collegare tra loro i due moli a mezzo di un cunicolo scavato al
di sotto del marciapiede della provinciale via Miliscola. I due oleodotti si
incontrano e si raccordano all’altezza dell’Alveo Campano permettendo così una
comunicazione diretta tra i due attracchi navali [21].
Questo schema complesso ha il vantaggio di
duplicare i collegamenti e bai passare eventuali interruzioni dovute a
bombardamenti aerei o navali, inoltre si rivela utilissimo per eventuali travasi
tra diverse unità, sempre attraccate nel porto di Pozzuoli ma presso moli
diversi.
Infine, nella primavera del 1943, il cerchio
si chiude e il tutto è completato con un ultima preziosa conduttura, una vera
ciliegina sulla di già ricca torta. Si provvede a collegare direttamente i
serbatoi di via Celle con il molo Ansaldo in modo da poter fornire il
carburante di quelle cisterne al naviglio attraccato anche a questo pontile [22].
Per realizzare questo collegamento una
ulteriore grossa tubazione parte dal molo Ansaldo, percorre parte della
provinciale via Miliscola ed all’altezza del civico 34 si immette nel
Territorio di Villa Maria alla Starza; per questo motivo i pilastrini che
sorreggono il cancello d’ingresso sono in stile “littorio” [23].
L’oleodotto attraversa
questa proprietà privata trasversalmente, con un percorso caratterizzato da due
salti di quota, realizzati a mezzo gomiti, [24]
e dopo circa 50 metri giunge a
pochi metri dalla confinante sede della Ferrovia Cumana. Qui è installata una sotterranea
piccola sala pompa e poi l’oleodotto continua la sua corsa per tutto il
restante Territorio parallelamente alla linea ferroviaria [25].
Superato il confine si immette nell’Alveo
Campano fino a raggiungere il retrostante Vallone Mandria; qui si introduce
nella già citata e preesistente galleria per giungere poi alla grande sala
manovre di via Celle.
La condotta sotterranea va a costituire una
servitù per la Famiglia Peluso, proprietaria del Territorio, e un enorme danno
per la Famiglia Biclungo, conduttrice del fondo agricolo; di seguito una
parziale perizia che quantifica i numerosi danni di alberi da frutta, viti,
pali e coltivazioni per la subita momentanea occupazione di suolo [26].
I
serbatoi nel periodo bellico
Nel corso della guerra le tre località sono
ben presidiate da personale di servizio, anche civile, che opera in sale di controllo
sotterranee o sopraelevate [27].
Il personale di guardia, marinai per i
serbatoi di via Campana e via Celle ed avieri per i serbatoi di via Vigna,
usufruisce di rifugi fortemente corazzati e di garitte lungo i perimetri
confinari [28].
In particolare l’oleodotto che attraversa il
Territorio di Villa Maria è sorvegliato da un drappello di marinai, che
alloggia in alcuni dei locali della villa già adibiti a Scuola Marittima, che
svolgono i loro turni di guardia in una garitta costruita al di sopra della
interrata piccola pompa [29].
Un rifugio antiaereo, parte scavato nel tufo e
parte in cemento armato, è a loro disposizione a mezza costa sul retrostante
terrazzo della Starza facilmente raggiungibile a mezzo di aperture, munite di
cancelli in legno, praticate nella cinta muraria della ferrovia.
Non risulta una autonoma difesa antiaerea dei
tre impianti che comunque usufruiscono delle copertura fornita a tutti i Campi
Flegrei da innumerevoli batterie della Regia Marina, del Regio Esercito e della
Milizia, nonché dalla benevolenza del Santo Protettore [30].
Comunque tutti e tre i complessi descritti non
sono oggetto di particolari specifici bombardamenti se non quello effettuato
dai tedeschi, non più nostri alleati, al tramonto del 21 ottobre 1943 sui
depositi di via Campana e che fortunatamente per errore colpiscono il vicino
cimitero altrimenti, come riferisce Don Angelo D’Ambrosio, nel volumetto
“Storia della mia Terra”, sarebbe saltata in aria l’intera Pozzuoli.
Previsione esagerata poiché altre fonti ci
dicono che in un bombardamento alleato del 1942 è colpito e distrutto un
serbatoio fra gli otto esistenti nel complesso di via Celle. In verità non si
hanno molte informazioni su quest’azione e questo serbatoio, effettivamente fuori
uso e mai più riattivato, potrebbe essere stato vuoto o miracolosamente salvato
dal personale mediante rapidi travasi al momento del bombardamento. Comunque tutte
le cisterne, specialmente le otto di via Celle, sono ben note alla ricognizione
aerea alleata che ne evidenzia l’ubicazione (unitamente al Cantiere, al Porto
ed alla Stazione Ferroviaria) sulle foto scattate in volo [31].
C’è da considerare che dal giugno 1940 al
settembre 1943 la Regia Marina deve far fronte a una crisi della nafta, via via
sempre più grave, la quale paralizza la nostra flotta nei porti, non
permettendogli di combattere, lasciando al nemico il pieno dominio del
Mediterraneo.
Numerosi studi di autorevoli storici fanno notare
numerose discrepanze fra i rapporti sulla nafta che la Regia Marina invia ai
tedeschi e quelli a disposizione dell’ufficio storico della marina. La più
evidente di queste difformità la si nota in un rapporto del convegno di Merano,
del febbraio del 1941, in cui il Capo di Stato Maggiore della Marina,
l'Ammiraglio Riccardi, afferma che la marina ha a disposizione circa 610.000tn
mentre risulterebbe che nello stesso periodo vi è ancora una scorta di nafta
superiore al milione di tonnellate.
Si può quindi facilmente supporre la
creazione da parte della marina di una specie di "fondo nero" di combustibile,
e di questa “riserva speciale” dovrebbero far parte i depositi di Pozzuoli, da
usarsi come ultima scorta, al duplice scopo di poter disporre di sempre
crescenti rifornimenti tedeschi e di poter regolare a proprio piacimento, in
relativa sicurezza, l'attività delle forze navali.
Naturalmente alla data dell’armistizio la guarnigione
italiana, in servizio presso tutti questi complessi di cisterne, si ritrova in
completo abbandono e senza ordini precisi; pertanto al grido di “tutti a casa” anche
i serbatoi sono abbandonati dal personale e lasciati in balia prima dell’invasore
germanico e poi del saccheggio da parte della popolazione civile, ormai miseramente
ridotta.
I tedeschi in ritirata, nel settembre del
1943, credono, o qualcuno ha fatto loro credere, che i serbatoio siano al secco
perché i loro guastatori (che a Pozzuoli abbattono ponti ferroviari, capannoni
industriali, gru, depositi munizioni, strettoie stradali) li lasciano intatti e
fanno saltare in aria le sole sale pompe della zona portuale e industriale.
I
serbatoi nel dopoguerra
Con il ritorno alla normalità le tre zone
interessate dalla presenza delle cisterne sono rioccupate dalle rispettive
forze armate, non più Regie [32].
La Marina Militare Italiana riadatta agli
scopi originali i serbatoi superstiti che per moltissimi anni sono utilizzati
dalle flotte dell’Alleanza Atlantica [33].
Come non ricordare le numerose petroliere
della U.S. Navy attraccate nella zona militare, a noi vietata, nella parte
terminale del molo puteolano [34].
Come dimenticare i marinai americani, le loro
avventurose e misteriose libere uscite per Pozzuoli e le mitiche ronde composte
da tre marinai con il braccialetto riportante la scritta “M.P.”
Come non ricordare poi, per chi ha frequentato
gli ambulatori allora INAM in via Vecchia delle Vigne, gli avieri
dell’Aeronautica Militare di guardia alle due cisterne dell’omonimo complesso [35]
nonché una loro jeep che più volte al giorno raggiungeva il serbatoio, e la vicina
sala pompe, ubicato nel piazzale del molo Ansaldo; dove è ora il parcheggio
SOFER [36].
I
serbatoi oggi
Nel sito principale, quello di via Celle,
restano le tracce di solo cinque serbatoi completamente smantellati a seguito
delle opere di bonifica che hanno risparmiato solo il guscio esterno, privo
della copertura [37].
Uno è stato danneggiato dai bombardamenti del
1942 e due sono stati parzialmente distrutti nel corso della costruzione della
predetta via a scorrimento veloce e i loro resti si trovano interrati sotto la
sede stradale.
Oltre la grande sala operativa sotterranea
restano anche innumerevoli opere edilizie che ospitavano macchinari e personale
[38].
Numerose le proposte di riutilizzo di tutte
queste strutture come, ad esempio, lo sfruttamento delle aree scoperte a
parcheggi e lo sfruttamento dell’interno degli stessi serbatoi come garage
meccanizzati [39- 40].
Lo sfruttamento del lungo tunnel che li
collega con la zona portuale per farvi transitare un Mini metro, tipo MK1
Ansaldo, adibendo l’attuale sala pompaggio quale stazione di arrivo e partenza del
trenino [41].
Lo sfruttamento delle aere e dei manufatti
per la realizzazione di un teatro scoperto e coperto per 1500 posti; di un
museo archeologico; di un edificio termale, di una piscina coperta, di un
centro informatico dei Campi Flegrei; il tutto come da progetto Copin del 2008
[42].
Quelli di via Vecchia delle Vigne, accessibili
attraverso passaggi posti alla quota del viale di ingresso del Parco nel Parco
Urbano Attrezzato sono gli unici due serbatoi ad essersi conservati quasi
intatti e bonificati.
Questa circostanza ha reso sicuramente più
agevole la possibilità di prospettare un recupero dei manufatti che, senza
comprometterne l’integrità, li rende fruibili raccordandosi alle attività
previste nel Parco Urbano e, nel contempo, disvelando un inedito documento
della storia dell’ingegneria italiana del novecento [43-44].
Giuseppe
Peluso – Febbraio 2017
CREDITI
Argiroffi
Giulia. - Le cisterne interrate di Pier Luigi Nervi
De
Crescenzo Ennio – Riuso funzionale – Parcheggi pertinenziali e parco
archeologico
Gerundo
Roberto – Rigenerazione Urbana
Peluso
Giuseppe – Bombardamenti di Pozzuoli e dei Campi Flegrei
Ribera
Federica - Conoscenza e valorizzazione dei serbatoi interrati progettati da
Pier Luigi Nervi a Pozzuoli
Scacchetti Luca
- Parco urbano attrezzato in area archeologica a Pozzuoli