San Severo guarisce un nobile colpito da una freccia
Cosa c’entra San Severo con Pozzuoli? E poi a
quale Severo ci si riferisce tra i dodici che la Chiesa venera quali Santi?
Non ci sono dubbi, il San Severo in questione
è quello di Napoli!
Il celebre Calendario Marmoreo, scolpito nel
IX secolo e conservato negli ambienti conglobati nel Duomo di Napoli, ne riporta
la festa al 29 aprile; data con cui è passato nel ‘Martirologio Romano’.
Severo è il dodicesimo nel catalogo dei
vescovi napoletani (dal febbraio dell’anno 363 al 29 aprile del 409) e della
sua vita antecedente al ministero episcopale non sappiamo quasi nulla [1].
La sua opera si svolge pochi decenni dopo la
libertà di culto decretata da Costantino ma comunque in un periodo di ritorni
al paganesimo e di eresie ariane. Questo vescovo riporta in città le spoglie
del suo predecessore san Massimo morto in esilio, in Oriente, proprio durante
la persecuzione ariana.
A Severo, amico di sant'Ambrogio (340-397) vescovo
di Milano conosciuto durante il Concilio plenario campano del 392 a Capua, è attribuita
la costruzione del celebre Battistero di Napoli; il più antico dell'Occidente.
Svariati antichi documenti confermano che a
Napoli si conquista stima ed affetto non solo dei cristiani, ma anche dei
pagani.
Una “Vita” leggendaria di Severo, scritta
nell'XI secolo da un anonimo, riporta un suo miracolo operato in vita; non
potendo aiutare in altro modo una vedova con piccoli figli, minacciata di
schiavitù da un uomo che pretende di essere pagato per un debito del defunto
marito, Severo conduce l'uomo al sepolcro del defunto, insieme al clero e molto
popolo. Richiama in vita il defunto e da lui fa sbugiardare il fasullo
creditore.
È questo un tipo di miracolo che si trova
anche nei racconti delle ‘Vite’ di altri celebri santi antichi, quindi è molto
probabile che sia una leggenda aggiunta dall’agiografo di questo “puro” che è
anche patrono della città e diocesi di San Severo, in provincia di Foggia.
Interessante per noi la notizia di un secondo
miracolo riportato negli “Acta Sanctorum”, un opuscolo coevo di quello della
“Vita”, probabilmente dello stesso autore.
E’ scritto anche questo nel 1048 su
commissione di un esponente di una nobile famiglia nota come “Capuana”, forse
perché originaria di Capua, semplicemente per offrire un ex voto al Santo dopo
averne ottenuto la guarigione.
Il nobile, che nell’anno 1046 milita nell’esercito
del duca di Napoli Giovanni, è ferito da una freccia durante l’assedio di
Pozzuoli pertanto implora ed ottiene la guarigione da San Severo.
Nell’alto medioevo Pozzuoli, dopo le invasioni
barbariche e le guerre tra goti e bizantini, rientra nei domini del Ducato di
Napoli che ha acquistato una forte autonomia da Bisanzio; come le coeve
repubbliche marinare [2].
Nel 1027 Pandolfo IV, Principe longobardo di
Capua, assedia e conquista Napoli e Pozzuoli, estendendo il suo dominio fino al
fiume Liri.
Le due città sono trattate con saccheggi e
violenze e Pozzuoli, una volta occupata, è concessa in vassallaggio ad
Atenolfo, nipote dello stesso principe Pandolfo IV [3].
Sappiamo che ben presto, nel 1030, Napoli
riacquista la sua indipendenza ma poco conosciamo di cosa succede in questo
periodo a Pozzuoli che, secondo alcuni storici, continua ad essere occupata dai
longobardi di Capua ancora per qualche decennio.
L’opuscolo narra che nel 1046, al tempo in
cui il re dei Germani Enrico III “il Nero”, figlio di Corrado II “il Salico” [4],
giunge a Roma per ricevere la corona imperiale dal Papa, Giovanni V, Duca di Napoli e guida dell’esercito campano, si apposta con le sue truppe presso Pozzuoli e lì, fissate le tende, tenta di espugnare la rocca dell’antica Puteoli con numerose e possenti macchine da guerra, grazie alle quali poi prevale.
giunge a Roma per ricevere la corona imperiale dal Papa, Giovanni V, Duca di Napoli e guida dell’esercito campano, si apposta con le sue truppe presso Pozzuoli e lì, fissate le tende, tenta di espugnare la rocca dell’antica Puteoli con numerose e possenti macchine da guerra, grazie alle quali poi prevale.
Negli ultimi giorni dell’assedio il citato nobile
Capuano è valorosamente presente davanti le schiere dei combattenti assedianti quando
all’improvviso è colpito da una freccia scagliata dagli spalti della rocca
puteolana [5].
E’ ferito gravemente e i compagni lo
trasportano via, lo depongono nella tenda e cominciano con insistenza a cercare
di estrarre la freccia. Nonostante si affatichino in molti modi strappano via
il legno, a cui la punta è attaccata, ma lasciano dentro la punta di ferro. Questa
è entrata attraverso l’estremità della palpebra che protegge gli angoli
dell’occhio, trafiggendo così profondamente la zona delle tempie e del capo che
non resta nessuna possibilità di escogitare un modo per poterla estrarre.
In seguito, presa la decisione, è condotto a
Napoli con un carro e lì vani sono i tentativi di estrarla sia da parte degli
altri soldati, sia da parte dei medici napoletani. Nonostante le molte
medicine, niente riesce a guarirlo e la parte conficcata della freccia non viene
fuori in nessun modo.
Il poverino non sa cosa fare e a chi
rivolgersi; i tentativi dei medici lo illudono, i tormenti della morte lo
spaventano e infine, su ispirazione divina e abbandonati tutti gli sforzi
umani, comincia a chiedere l’aiuto dei santi che vede dipinti nel percorrere il
sepolcro dei vescovi in cui è condotto.
Ma non Agnello, non il famoso Severino, lo
curano dalla ferita mortale; non Gaudioso, non Proculo, non il buon Sossio
portano a lui un qualche aiuto. Non Martino, amante di Cristo, non Benedetto
cura il poverino, ma solo la pietà di Dio riesce a mezzo del suo servo, il
beatissimo Severo, anche lui lì sepolto.
All’improvviso la freccia cade davanti ai
piedi di colui che sta pronunciando preghiere devote; i presenti allora,
piangendo, magnificano il Signore ad alta voce.
I due miracoli riportati nel “Libellus”, che
riunisce i due manoscritti, non hanno molta fortuna; infatti non sono riportati
nei manuali liturgici e non si hanno riscontri nemmeno in campo artistico, cosa
che avrebbe potuto propagandare ai posteri l’avvenimento.
E questo nonostante il racconto del miracolo della
freccia di Pozzuoli cominci con la chiara delimitazione cronologica, il
riferimento della venuta dell’imperatore Enrico III [6]
a Roma, al fine di dare maggiore attendibilità allo scritto e al contesto storico in cui si svolge.
a Roma, al fine di dare maggiore attendibilità allo scritto e al contesto storico in cui si svolge.
Il citato assedio di Pozzuoli del 1046, che
sembrerebbe storicamente accertato, non chiarisce i dubbi sulle vicende e sulla
durata del dominio longobardo subito dalla nostra città.
Raimondo Annecchino, nella sia Storia di
Pozzuoli, scrive che l’agiografo di San Severo, pago di dare la notizia del
miracolo, non ci informa dell’esito dell’assedio. Probabilmente l‘Annecchino ha
consultato l’iniziale “Acta Sanctorum” e non l’intero “Libellus” che invece riporta
il successo dell’assediante Duca di Napoli facilitato dal massiccio uso di
potenti macchine da assedio.
Il nostro storico esprime la considerazione
che poiché poco dopo Pozzuoli, come nota pure lo Schipa, appare di nuovo nei
domini del ducato napoletano proprio quell’assedio doveva essere stato
l’occasione del riacquisto di Pozzuoli ai domini del duca di Napoli [7].
Però lo stesso Annecchino continua riportando
l’opinione degli autori dello scritto “Dissertazione corografico-istorica delle
distrutte citta di Miseno e Cuma” i quali riferiscono che nel 1046 il duca
Giovanni V non riesce a riconquistare Pozzuoli poiché in alcuni documenti,
consultati nel settecento, ancora si legge il nome del longobardo Atenolfo
quale conte di Pozzuoli.
Angelo D’Ambrosio nella sua “Storia di
Pozzuoli in pillole”, scritta nel 1959 [8],
dice che nel 1033 l'Imperatore Corrado II toglie Pozzuoli a Pandolfo IV° Principe di Capua donando la città, prima a Guaimaro IV° Principe di Salerno, e poi a Rainolfo, il normanno Conte di Aversa; e questa ci sembra una importante novità.
dice che nel 1033 l'Imperatore Corrado II toglie Pozzuoli a Pandolfo IV° Principe di Capua donando la città, prima a Guaimaro IV° Principe di Salerno, e poi a Rainolfo, il normanno Conte di Aversa; e questa ci sembra una importante novità.
Continua affermando che nel 1046 Giovanni V
Duca di Napoli, tenta di conquistare Pozzuoli occupata dal Principe di Capua e che
nel 1126 Pozzuoli fa ancora parte del Principato di Capua. Termina col dire che
nel 1128, nel patto di tregua decennale concluso tra il Duca Napoletano Sergio
VII e la città di Gaeta, Pozzuoli figura nuovamente tra i possedimenti del
Ducato di Napoli.
Lo stesso Angelo D’ambrosio nella sua “Storia
della mia Terra”, scritta nel 1976, specifica che Pozzuoli è sotto dominio di
Capua per oltre un secolo. Prima dei principi longobardi dal 1027 al 1058 e poi,
dal 1058 al 1128, dei principi normanni che nel frattempo hanno occupato Capua.
Quindi sotto dominio normanno non per essere stata donata a Rainolfo dall’imperatore
Corrado II ma perché questi uomini venuti dal nord sono ora i nuovi padroni del
principato di Capua.
Nella citata “Dissertazione corografico-istorica
delle distrutte citta di Miseno e Cuma” leggiamo poi di un diploma del 1044 in
cui è nominato conte di Cuma un tal Marino, figlio del duca di Napoli.
Ora se Pozzuoli è occupata dai longobardi di
Capua non è possibile che la vicina Cuma sia ancora compresa nei territori
soggetti al ducato napoletano e non è possibile che il duca di Napoli nomini il
figlio conte di un feudo che non possiede.
Pozzuoli, una volta distrutta la Città di
Cuma, è il luogo più forte e munito dell’intero ducato e le sincerissime “Cronache
Cavense” riferiscono anche di un incontro del 1048 in cui i napoletani
riacquistano dal longobardo Atenolfo la Città di Pozzuoli [9].
Il duca Sergio IV, scappato da Napoli nel
1027 e rifugiato a Gaeta, per rientrare nella sua città raccoglie truppe
eterogenee e grazie anche ad accordi con il principe longobardo di Salerno, con
i bizantini e con bande di mercenari normanni precedentemente assoldate dal
principe capuano Pandolfo IV, nel 1029 passa al contrattacco. Nei primi mesi
del 1030 riesce a rientrare a Napoli liberandola dai longobardi di Capua.
Ma è mai possibile che, dopo che il Duca
Sergio abbia ritolto Napoli ai capuani, i longobardi possano possedere ancora Pozzuoli
e tutta la Liburia Ducale con Territori che arrivano fin quasi sotto le mura
della capitale [10]?
Ed è mai possibile che un nobile capuano,
giustamente definito longobardo da Raimondo Annecchino, possa combattere con i
napoletani contro i longobardi e partecipare all’assedio di Pozzuoli occupata
dal suo stesso popolo?
Allora, trascorsi ben
sedici anni dalla liberazione di Napoli, chi occupa o comunque combatte sugli
spalti della Pozzuoli del 1046?
A questo punto
potrebbe aprirsi uno scenario completamente nuovo; se non sono longobardi e se non
sono normanni potrebbe essere stata una rivolta locale tendente ad acquisire
una agognata libertà amministrativa!
Giuseppe Peluso