Vescovo della Pozzuoli angioina
La vittoria del 1266 di Carlo I d’Angiò su
Manfredi, nella battaglia di Benevento, pone fine alla sovranità sveva
nell’Italia meridionale e segna l’inizio di quella angioina.
Con la nuova monarchia Pozzuoli [1], “Castrum”
e non ancora “Civitas”, è concessa a vari signori che, dalla natia Francia,
hanno seguito i nuovi regnanti.
I puteolani si mostrano particolarmente legati a questa Famiglia regale cui giurano la loro fedeltà tanto da
ottenerne, nel maggio 1296 da re Carlo II, un reale privilegio con il quale si sancisce
che Pozzuoli sia dichiarata “Città Demaniale”.
Il re ne affida
l’amministrazione a due “capitani” con mandato semestrale, come nei comuni del
nord Italia e, come ancora oggi, nella repubblica di San Marino.
Questa acquisita
autonomia amministrativa favorisce lo sviluppo delle attività e dei rapporti
commerciali e la vicinanza alla capitale crea presupposti di progresso anche
politico; spesso le due città di Napoli e Pozzuoli, seppure in periodi
diversi, sono rette dagli stessi capitani reggenti sotto le stesse armi
angioine, che all’uopo furono scolpite nel muro di Palazzo Damiani al Rione
Terra [2].
Anche l’apostolica
diocesi puteolana rinasce a nuova vita ed i vescovi di Pozzuoli sono molto presenti
nella vita della corte napoletana; come confessori e come consiglieri.
La sede vescovile di
Pozzuoli diventa una ambita carica di comodo, o di transito, per prelati
destinati a incarichi più prestigiosi.
Il Concilio
Lateranense del 1215 ha stabilito che i vescovi debbano essere eletti dal
Capitolo dei Canonici entro tre mesi dalla morte, o dalle dimissioni del
predecessore. A Pozzuoli questo diritto quasi mai è esercitato dal Capitolo poiché
sia il Papa che i Sovrani Angioini si riservano tale prassi. Solo la nobile e
potente Famiglia locale dei di Costanzo riesce ad imporre con la violenza due
vescovi, naturalmente loro congiunti e membri del Capitolo Puteolano.
Nella maggior parte
dei casi la sede vescovile è assegnata per gratificazione a frati dotti oppure,
quale primo avanzamento, a dignitari della Chiesa di Napoli o ad esponenti di
Famiglie Nobili, generalmente francesi.
Spesso la sede,
godendo di rendite proprie, è assegnata anche per remunerazione; ovvero per
coprire le retribuzioni dovute ad abili consiglieri o negoziatori impiegati in
missioni diplomatiche.
Come tipico esempio di questa prassi si
possono citare due casi: Guglielmo di Salon
ed il suo successore Paolino da Venezia, uno dei più importanti vescovi che
Pozzuoli abbia mai avuto, protagonista di questo saggio.
Importante non per quanto abbia fatto a
beneficio della diocesi di cui è a capo ma per essere stato un abile uomo politico
e scrittore, ben considerato dai suoi potenti contemporanei.
Di Paolino Minorita [3],
conosciuto anche come Paolino da Venezia o Paolino Puteolano, nato nel 1270 circa, non si conoscono le sue origini, non si sa nulla della sua Famiglia e anche il luogo di nascita non è noto, anche se sicuramente veneto. L'appellativo "da Venezia" potrebbe indicare che si fece francescano nel Convento Lagunare dei Frari, in Venezia.
conosciuto anche come Paolino da Venezia o Paolino Puteolano, nato nel 1270 circa, non si conoscono le sue origini, non si sa nulla della sua Famiglia e anche il luogo di nascita non è noto, anche se sicuramente veneto. L'appellativo "da Venezia" potrebbe indicare che si fece francescano nel Convento Lagunare dei Frari, in Venezia.
Paolino si forma
nelle scuole della provincia religiosa del Triveneto; il primo documento che lo
nomina lo vede il 12 dicembre 1293 nel Convento di Padova come studente.
Poi l'11 ottobre 1295 non si trova più in questa città perché deve
inviarvi un rappresentante per la riscossione di un lascito testamentario.
La sua
iniziale carriera di insegnamento come lettore si svolge probabilmente ancora
all’interno del Triveneto dove ricopre anche incarichi come guardiano, custode,
inquisitore. Il 30 novembre 1301, in qualità di lettore del convento di
Venezia, è presente alle trattative tra l’inquisitore fra Antonio da Padova e
il doge di Venezia Pietro Gradenigo riguardo all’introduzione delle
costituzioni antiereticali negli statuti della città.
Tra il
1305 e il 1307 ricopre l’incarico di inquisitore per le diocesi di Treviso e
Ceneda. Durante l’ulteriore inchiesta del 1308, condotta da Giovanni da Bologna
e Guglielmo di Balait per ordine di papa Clemente V sull’operato
dell’inquisizione nella Marca trevigiana e nella Lombardia, Paolino è accusato
da fra Ainardo da Ceneda di aver ricavato molto denaro durante la sua attività
inquisitoriale. Con le somme raccolte egli si sarebbe dato a spese eccessive,
tra cui l’accumulo di pergamene di ottima qualità e l’acquisto e la
realizzazione di numerosi libri.
Nel 1308
Paolino torna a rivestire il ruolo di docente poi, tra la fine del 1315 e il
1316 è nominato ambasciatore della Repubblica di Venezia presso la corte di re
Roberto d’Angiò [4].
Questa sua prima missione a Napoli riguarda la richiesta di danni subiti dai veneziani a causa dell’interdetto contro Venezia inflitto dalla Santa Sede nella guerra di Ferrara (1309). La missione, che in precedenza ha incontrato parecchie difficoltà con una lunga fase di stallo, si conclude con il successo di Paolino nell’opera di mediazione e la firma di una convenzione vantaggiosa per Venezia.
Questa sua prima missione a Napoli riguarda la richiesta di danni subiti dai veneziani a causa dell’interdetto contro Venezia inflitto dalla Santa Sede nella guerra di Ferrara (1309). La missione, che in precedenza ha incontrato parecchie difficoltà con una lunga fase di stallo, si conclude con il successo di Paolino nell’opera di mediazione e la firma di una convenzione vantaggiosa per Venezia.
Mancano
sue notizie per gli anni successivi ma, verso la fine del 1320, Paolino è impegnato
in una seconda missione diplomatica, questa volta in Provenza presso la Curia Pontificia
in Avignone. La questione, relativa a una nave veneziana depredata da mercanti genovesi
presso Corfù, si risolve anche in questo caso a favore di Venezia.
Paolino è ormai un
personaggio molto in vista, è tenuto in grande stima da papa Giovanni XXII [5]
dal quale riceve l’incarico di penitenziere apostolico. Sul papa egli scrive una “Vita” giudicata adulatrice, tacendo verità e formulando menzogne tese ad ottenerne, si dice, la “berretta rossa” cardinalizia.
dal quale riceve l’incarico di penitenziere apostolico. Sul papa egli scrive una “Vita” giudicata adulatrice, tacendo verità e formulando menzogne tese ad ottenerne, si dice, la “berretta rossa” cardinalizia.
Nel settembre del
1321 ad Avignone, su mandato dello stesso papa, esamina il “Liber Secretorum Fidelium Cruci”, del
veneziano Marin Sanudo il Vecchio (detto Torsello), scritto per invitare i
cristiani, e in particolare il papa, alla crociata.
Inoltre diventa
nunzio del pontefice presso la Repubblica di Venezia e nel 1322 è impegnato in
varie missioni diplomatiche per conto della Santa Sede; in particolare riguardo
ai rapporti con i Visconti di Milano, gli Estensi di Ferrara e la città di
Fano, che è stata presa sotto la protezione di Venezia pur essendo stata
colpita dall’interdetto papale.
Il 20 giugno 1324
Paolino, su desiderio di re Roberto, è nominato vescovo di Pozzuoli da Giovanni
XXII che incarica il celebre cardinale francescano Bertrand de la Tour di
consacrarlo nell’episcopato [6].
Il 12 luglio versa i
130 fiorini della tassa cui sono soggetti i nuovi vescovi ma è sempre lontano
da Pozzuoli perché impegnato a Venezia in una missione diplomatica per la Santa
Sede. L’arcivescovo di Napoli, cui il vescovo puteolano è sottoposto, si
lamenta di tale lontananza ma lo stesso pontefice gli scrive per giustificarlo
e concede a Paolino la dispensa dall’obbligo della residenza.
Il Minorita inizia a
svolgere il suo incarico a Pozzuoli solo due anni dopo, nel 1326, e scarse sono
le notizie sulla sua attività come vescovo; comunque, pur risiedendo
saltuariamente in sede, gestisce la diocesi in modo energico.
Tra l’altro si
interessa della divisione ed attribuzione di alcuni fondi enfiteutici, di
proprietà del Capitolo, che stanno deteriorandosi per mancanza di buona
amministrazione.
Nei primi anni di
episcopato fra Paolino deve affrontare le ribalderie di alcuni chierici
malfattori che lo costringono, il 18 giugno 1330, a chiedere l’autorevole
intervento del re.
Si sa che tra i
redditi del vescovo sono inclusi quelli che scaturiscono dalla bagliva (tassazione)
dovuta all’estrazione di allume e zolfo dalla Solfatara che per gli anni
1339/1342 fruttano 44 once e 15 tareni a fra Paolino e, come da resoconto
presentato alla regina Giovanna (nipote ed erede di Roberto) il 25 agosto 1343,
ben 360 once vanno a priori e procuratori dell’ospedale di Tripergole.
Nel 1328 assume la carica di consigliere
di re Roberto d'Angiò, per il quale già funge da intermediario; Roberto, da
colto e generoso mecenate, l’accoglie soprattutto tra i dotti ed i letterati della
sua raffinata corte.
Nel periodo in cui Paolino inizia a frequentare
la reggia è presente a Napoli il giovane Giovanni Boccaccio [7]
che, nelle “Genealogia”, ricorda alcuni discorsi del frate che pubblicamente giudica “massimo investigatore storico”, ma che privatamente insulta anche per il suo noto antivenezianismo.
che, nelle “Genealogia”, ricorda alcuni discorsi del frate che pubblicamente giudica “massimo investigatore storico”, ma che privatamente insulta anche per il suo noto antivenezianismo.
Boccaccio, nonostante per il suo Zibaldone ne
tragga ampi riassunti, considera il “Compendium” del Paolino poco scientifico e
molto superstizioso ed afferma: “come tutti i veneziani anche il nostro Paolino
è chiacchierone, leggero, con poco sale in zucca, e quindi inattendibile e
debole sul piano critico”.
Il sovrano angioino,
nel ricevere gli ambasciatori stranieri e per ostentare le sue conoscenze
geografiche, si serve di una mappa del mondo preparata da fra Paolino che
coltiva lo studio della geografia e della sua rappresentazione grafica. Famose
e preziose sono le sue piante delle città di Roma e di Venezia. Gran
parte della produzione cartografica di quel periodo è rappresentata dai mappamondi,
carte di forma generalmente circolare che rappresentano il mondo abitato e
conosciuto come una superficie piana, cinta dall’Oceano.
Essi sono eseguiti da monaci o da
letterati che li arricchiscono spesso con particolari non esattamente
cartografici, come figure umane, paesaggi e personaggi mitologici
Paolino, con il prestigio
e l’influenza che gode alla corte angioina, ottiene che re Roberto ceda la
proprietà di Monte S. Angelo (tranne il castello posto sulla vetta) e dei campi
limitrofi (Torre Santa Chiara) alla moglie, regina Sancia d’Aragona, perché ne
faccia dono al monastero di Santa Chiara.
Tale monastero ha
amministrato questi territori (concessi in enfiteusi a nostri contadini)
tramite la sua badessa e li ha posseduti fino alla napoleonica occupazione francese.
Nel febbraio del 1341 il vate, accogliendo
l'invito di re Roberto che si propone d’esaminarlo prima di andare a Roma per
ottenere la sospirata incoronazione in Campidoglio, si mette in viaggio per
Napoli col fine di ottenere l'approvazione del colto sovrano angioino
all'incoronazione.
Giunto nella città partenopea è esaminato per
tre giorni da re Roberto che per questa occasione ha sicuramente invitato, come
uditori e come assistenti, i numerosi dotti e letterati che gravitano alla sua
corte; tra questi di certo non può mancare il preparato vescovo di Pozzuoli.
Protagonista del suo tempo fra Paolino non
può non conoscere una sua concittadina, la “famosissima
virago, detta poi Maria Puteolana”, le cui vigorose prodezze iniziano a
scavalcare le ristrette mura della rocca in cui risiede [10].
Re Roberto ne sarà sicuramente già al
corrente ed ora, entrambi, ne segnalano il coraggio al Petrarca che nello
stesso 1341, spinto dalla curiosità, si reca appositamente a Pozzuoli.
Il poeta, che in questa prima visita si trova
in compagnia del sovrano angioino e probabilmente del vescovo puteolano, la
incontra disarmata e in abiti civili.
Ma Petrarca non desiste e durante la sua
seconda venuta a Napoli, nel novembre del 1343 per eseguire una missione
diplomatica,
visita Pozzuoli assieme a Barbato da Sulmona ed il vescovo di Cavaillon, Philippe de Cabassolle.
visita Pozzuoli assieme a Barbato da Sulmona ed il vescovo di Cavaillon, Philippe de Cabassolle.
Manca Re Roberto deceduto nel gennaio dello
stesso anno, però incontra nuovamente la ragazza sulla rocca dove, sul selciato
della cattedrale, può apprezzarne il coraggio e la forza durante una sua
esibizione.
Parlerà di lei nella lettera, datata 23
novembre 1343, a Giovanni Colonna tramandandone ai posteri il nome e le gesta
che, grazie alla sua leggendaria forza, gli hanno permesso d’uscire vincitrice
nei numerosi scontri avuti con briganti e saraceni.
Maria, come una giunonica amazzone, è
perfetta anche sul destriero sul quale spesso si batte con spavaldi cavalieri
che apposta vengono a sfidarla [11].
Il 25 novembre del 1343 Pozzuoli, come tutta
la costa napoletana, è investita da un apocalittico maremoto (anche questo ben
descritto dal Petrarca nel corso del suo secondo soggiorno napoletano) e la
corte deve intervenire per riparare innumerevoli danni al porto, all’acquedotto,
alle chiese, alle abitazioni, ai fondi agricoli.
Questo maremoto è causa di una susseguente
carestia per cui parte degli abitanti, costretti dalla necessità, si unisce ai
malfattori che infestano le campagne e con questi si dedica a devastare le
terre ed i pascoli appartenenti al vescovo di Pozzuoli. Paolino è nuovamente
costretto a richiedere l’aiuto della giustizia per mitigare queste violenze e
la regina Giovanna, succeduta al nonno Roberto, provvede a risarcire i danni
all’ormai vecchio prelato. Nel contempo esenta la città di Pozzuoli dai tributi,
dovuti per quell’anno, affinchè questa civitas possa impiegarli nel riparare i
danni causati dal maremoto.
Paolino muore a
Pozzuoli prima del 22 giugno 1344, data in cui è redatto l’inventario dei suoi
beni a opera del collettore pontificio. Alcuni dei suoi libri di carattere
storico ed enciclopedico vanno ad arricchire la biblioteca dei papi di Avignone
e sono ora conservate alla “Bibliotheque Nationale de France”.
Al periodo dell’episcopato puteolano può
essere ascritta la redazione definitiva di molte opere del frate veneziano.
Le citazioni che autori molto noti traggono
dalle sue cronache universali attestano la notevole fortuna degli scritti
storici di Paolino ed essenzialmente delle sue tre cronache universali, che
dalla creazione del mondo e dell’uomo giungono fino ai primi decenni del XIV
secolo.
In primo luogo la “Notabilium ystoriarum
epithoma”, che narra gli eventi dalle origini [12]
fino al 1313; in secondo il “Compendium”, giunto anche in una traduzione in provenzale e che Boccaccio, pur non stimando molto Paolino riservandogli epiteti poco lusinghieri, utilizza ampiamente nel suo zibaldone magliabechiano; in terzo luogo la “Satirica ystoria”, ultima cronaca in ordine di redazione, utilizzata dal doge Andrea Dandolo, contemporaneo del frate, nella sua “Chronica per extensum descripta”.
fino al 1313; in secondo il “Compendium”, giunto anche in una traduzione in provenzale e che Boccaccio, pur non stimando molto Paolino riservandogli epiteti poco lusinghieri, utilizza ampiamente nel suo zibaldone magliabechiano; in terzo luogo la “Satirica ystoria”, ultima cronaca in ordine di redazione, utilizzata dal doge Andrea Dandolo, contemporaneo del frate, nella sua “Chronica per extensum descripta”.
Complementari alla “Satirica ystoria”
sono altri quattro scritti; un trattato noto come “De mapa mundi”,
corredato di notevoli carte geografiche; un trattato sul gioco degli scacchi,
noto come “De ludo scacorum”, presentato in chiave metaforica; un trattato
sugli dei dell’antichità, noto come “De diis gentium et fabulis poetarum”; un
breve scritto sulla provvidenza, noto come “De providentia et fortuna”.
In ognuno di questi libri si notano numerose
immagini che accompagnano e descrivono il testo. Queste costituiscono una tappa
importante nella storia della decorazione libraria e della rappresentazione
cartografica e notiamo che Pozzuoli è la sua rocca spesso sono state fonte
d’ispirazione per i suoi disegni [13].
Tra i suoi scritti ci è pervenuto anche il "Liber de regimine
rectoris", un trattato in volgare veneziano che riporta suggerimenti di
carattere morale per coloro che governano; anticipando di due secoli il
“Principe”, il trattato di dottrina politica scritto nel cinquecento dal
Macchiavelli.
A Paolino sono attribuiti inoltre il “Provinciale
Romanae Curiae”, ossia la serie delle province ecclesiastiche e delle
rispettive diocesi, e il “Provinciale Ordinis Fratrum Minorum”, compilato
intorno al 1334 e contenente l’elenco delle province minoritiche con
l’organizzazione delle custodie e degli insediamenti.
Infine sarebbe da ascrivere al suo operato il “Liber
privilegiorum ordinis Minorum” scritto intorno al 1323 e contenente
documenti papali riguardanti l’Ordine dei minori.
Paolino continua a essere citato anche nel
Quattrocento, come dimostrano gli epistolari di Poggio Bracciolini e Coluccio
Salutati, nonché le cronache dello storico polacco Jan Dlugosz.
Isabelle Heullant-Donat, nel suo “Paolino da
Venezia et les prologues de ses chroniques universelle” definisce il nostro
vescovo il più prolisso compilatore tra i francescani del trecento.
Delle sue innumerevoli opere spesso ci è
giunto l'esemplare curato da lui stesso.
Con un pizzico d’orgoglio non possiamo
dimenticare che Paolino ha scritto e disegnato tutto questo nel chiuso della
sua sede vescovile, là sul Rione Terra, sull’estrema vetta della rocca
puteolana [14].
P.S.
Ringrazio l’amico Carmine Esposito, che cura la meravigliosa pagina:
dei disegni e dell’aiuto fornito.
Peluso Giuseppe
BIBLIOGRAFIA
Ambrasi D. e
D’Ambrosio A. – La Diocesi e i Vescovi di Pozzuoli (1990)
Cecchini F. – Paolino Veneto – Treccani (1998)
Dondi Dall’Orologio S. - Venezia vista da Fra’ Paolino
(2015)
Esposito C. – www.facebook.com/MariaPuteolana/
Fontana E. – Paolino da Venezia, vescovo di Pozzuoli – Dizion.Biogr.
Italiani (2014)
Heullant
Donat I. – Paolino da Venezia et les prologues de ses chroniques universelles
Mussafia A.
– Fra Paolino Minorita (1868)