Pozzuoli vs Besiktas
Una partita vinta dai puteolani contro i Turchi
Tutti si chiederanno: «cosa c’entra Pozzuoli con Besiktas?»
Un legame c’è con Napoli, per i prossimi due incontri di calcio in “Champion League”, ma con Pozzuoli?
Eppure questo legame c’è e si chiama Barbarossa, il pirata turco.
Barbarossa, dal colore della sua folta barba,
è stato un corsaro, Bey di Algeri, governatore di tutto il nord Africa, ammiraglio
della flotta ottomana.
Fin dalla gioventù con i fratelli Elias e
Arug esercita la guerra di corsa nell'Egeo
finché la flotta dei Cavalieri di Rodi pone fine alla sua attività quando, in un
combattimento del 1518 al largo dell'isola di Creta,
cade ucciso il fratello Elias e lui ed Arug sono fatti prigionieri.
Viene poi liberato e la sua fortuna comincia
quando, sotto la guida di Arug, si porta sulle coste della Barberia; si
stabiliscono nell'isola di Gerba e, messosi in buoni rapporti con il sultano di
Tunisi, ottengono di servirsi del porto di Goletta. Da qui spadroneggiano sul
tratto di costa da Tripoli a Tangeri e si spingono a depredare l’intero
Mediterraneo occidentale.
Quando nel 1518 Arug è sconfitto e ucciso dagli
spagnoli, è un momento di tragedia e di lutto per la famiglia. Khayr al-Din
dopo averlo atteso invano assume il comando della flotta e si proclama Bey
di Algeri.
Il Barbarossa sa che Selim I° [2], sultano di
Costantinopoli, è impegnato nella conquista della Siria e dell’Egitto, e non può
occuparsi di questi territori.
Selim, infatti, lo ringrazia e lo nomina suo
governatore. Khair al-Din ottiene così la protezione della potenza ottomana e
di fatto, ricevendo il titolo di Beylerbey (governatore), il riconoscimento della
potestà personale sulle province del nord Africa da lui conquistate.
Khayr al-Dīn diventa letteralmente il terrore
del Mediterraneo, devasta intere coste di questo bacino, soprattutto in Calabria,
Liguria e Andalusia, e tutto questo con il beneplacito del suo nuovo sovrano Solimano
[3], figlio di Selim.
Le sue numerose gesta e le sue imprese
temerarie lo rendono famoso e la sua importanza cresce sempre di più anche
grazie alle sue abilità come comandante. Infatti dopo il 1533 comincia la
“seconda fase” della sua vita, perché diventa l’indiscusso ammiraglio
della flotta ottomana.
Le razzie e le incursioni del pirata
Barbarossa continuano anche con la sua nuova nomina; continua a devastare e
saccheggiare tutte le coste e le isole del Mediterraneo.
La tecnica è sempre
la stessa da quando la prima volta minacciò l’antica Antalia; già in quella
occasione, prima di assalirla, inviò una ambasceria con la richiesta di resa che
così suonava: «Adalia, stiamo arrivando».
Se la cittadina non
si arrende è attaccata e turbe feroci si precipitano dovunque, commettendo ogni
sorta di nefandezze, di ruberie e di atti inumani. Tutte le case sono
spogliate, e molte di esse sono ridotte a mucchi di pietre dalla ferocia dei
turchi. Nulla riesce a frenare la furia devastatrice degli assalitori, non le
chiese, non le immagini sacre che sono calpestate.
Ovviamente le sue scorrerie destano reazioni
da parte dei potenti dell’epoca, in special modo della Spagna e della
Repubblica di Genova il cui ammiraglio, Andrea Doria, è uno dei suoi più
acerrimi rivali; i due si scontrano più volte in mare, con alterne fortune.
Nel 1543 un fatto nuovo porta costernazione
nel mondo cristiano, Kayr al-Din si allea, per conto del Sultano, con la
cattolicissima Francia di Francesco I per combattere contro Carlo V, Imperatore
del Sacro Romano Impero, Re di Spagna, Re di Napoli, Re di Sardegna, Re di
Sicilia, Duca di Borgogna.
Mentre con oltre 100 galee naviga alla volta di
Marsiglia, Khair al-Din assale Reggio Calabria dove rapisce un’avvenente
fanciulla diciottenne, Dona Maria, figlia di un governatore spagnolo, e la sposa.
Assale poi Gaeta, devasta le coste romane e toscane, e infine contribuisce alla
riconquista di Nizza per conto del re di Francia.
Il Barbarossa sverna a Tolone dopo di che il
re Francesco I, ravvedutosi della scandalosa lega con questi infedeli che gli ha
fruttato soltanto immense spese e l'odio dei popoli cristiani, nella primavera
del 1544 lo rimanda in Oriente, consegnandogli molti doni.
Spinto dalla sua indole, il re dei pirati
pensa di compiere, anche durante il viaggio di ritorno, azioni di forza onde
trarre da esse il maggiore bottino possibile. Lungo la rotta saccheggia l’isola d’Elba
e Talamone; tra i deportati vi è anche Margherita Nanni Marsili, una donna di
Siena sorpresa sulla spiaggia vicino Talamone. Costei sposerà più tardi
l'imperatore turco, e secondo la leggenda spingerà quest'ultimo a far uccidere
il figlio di una sua concubina per assicurare la successione al loro
primogenito.
Di seguito Barbarossa occupa Porto Ercole e
l’isola del Giglio; la prima località si arrende e gli concede 30 uomini in
cambio della promessa di risparmiare la città. Nonostante la promessa fatta i
30 uomini vengono messi in catene, il castello messo a sacco e la città data
alle fiamme. Nell’isola del Giglio non vi resta intatta che una sola casa dopo
un incendio durato 3 giorni; Ariadeno cattura 632 prigionieri e fa decapitare
tutti i notabili del paese, fra cui sindaco, notaio e parroco.
Barbarossa riprende la rotta lungo la quale
assale con forza Civitavecchia, ma Leone Strozzi, che lo affianca con le galee
francesi, lo convince ad abbandonare l’impresa.
Ripresa la navigazione, nella notte del 22
giugno assale e depreda l’isola d’Ischia traendone oltre 2.000 prigionieri e
trucidando gran parte dei restanti abitanti.
L’attacco ad Ischia è programmato in modo da
essere infallibile e fatale; si avvicina di notte con la sua flotta alle coste
e sbarca in diversi punti per assalire contemporaneamente Forio, Panza, i casali
di Serrara, Fontana, Moropano, Barano e Testaccio. L’azione, fulminea e
brutale, non lascia scampo agli isolani, sorpresi nel sonno. I pirati seminano
terrore, morte e distruzione; migliaia di uomini sono resi schiavi, i giovani
di entrambi i sessi sono rapiti per essere venduti negli harem, i vecchi e i
bambini uccisi, mentre le campagne sono devastate con incendi e saccheggi.
Da Ischia passa a Procida che trova quasi
vuota perché i suoi residenti, a conoscenza di quanto accaduto sull’isola
sorella, sono fuggiti sulla terraferma. Comunque i corsari distruggono e rapinano
tutto quanto di utile trovano sulla piccola isola.
Dopo i turchi, che
ora possiedono oltre 140 navi da guerra e da carico, fingono di dirigere al
largo sia perché trenta galee vicereali vigilano a difesa di Napoli, nella rada
di Nisida, sia perchè non è loro abitudine assalire le grandi città.
Ma il 24 giugno ricompaiono
a Pozzuoli [4] e con le intimidazioni tentano di farla desistere o quantomeno
far allontanare i suoi abitanti; a questo scopo sbarcano una ambasceria che
riferisce: “Pozzuoli, stiamo arrivando”.
E’ costume del corsaro turco attaccare piccoli borghi
costieri poco difesi e compiervi stragi, trarre schiavi e distruggere col fuoco
tutto quanto non sia asportabile. In questo modo riesce ad atterrire le altre
vicine cittadine che spesso, per non subire lo stesso crudele trattamento, o
abbandonano le case minacciate (come successo a Procida) o, senza opporre
resistenza, s’arrendono con la disponibilità a pagare tangenti e riscatti.
I puteolani, da poco rientrati
dopo i tragici eventi vulcanici di Montenuovo del 1538, pur conoscendo per fama la crudeltà
del Barbarossa, appena vedono avvicinarsi il terribile pirata, confidando nella
città difesa dalle mura e dalla natura, si ritirano tutti entro il fortificato
castro (Rione Terra).
E’ antica
consuetudine che in caso di pericolo le città vicine si aiutino fra loro con
l'inviare soccorsi di uomini armati e viveri. Da Napoli accorre numeroso popolo
ed i puteolani sono fiduciosi di potere sostenere un lungo assedio.
La rocca, entro la
quale è racchiusa la città propriamente detta, sorge sopra una rupe scoscesa
bagnata da più parti dal mare e protetta da muraglie, bastioni e torrioni
sull’allora breve tratto terrestre [5].
Tutto questo rende
difficile espugnarla e su questa rupe è possibile entrare da una sola strada
che può essere guardata da poche persone ed il cui accesso alla fortezza è
costituito da un alto e irraggiungibile ponte levatoio.
Ai piedi di questa
rupe si trova un piccolo borgo, all’epoca non molto abitato, che, al primo
sentore dell'avvicinarsi dei turchi, è abbandonato dagli abitanti i quali
corrono a rinchiudersi entro le mura.
E’ vagliata la
opportunità di inviare in Napoli tutte le donne, i bambini e gli inadatti alle
armi, sia per toglierli dal pericolo sia per alleggerire il peso del
vettovagliamento necessario per affrontare un eventuale lungo assedio.
Ma le donne puteolane, degne discendenti di
quella Maria (coraggiosa guerriera vissuta al tempo degli Angioini) che già
difese Pozzuoli dai pirati saraceni, non intendono abbandonare le loro
ritrovate dimore appena riparate dalla devastatrice furia tellurica e
vulcanica. Inoltre tutti confidano nella presenza di grotte, pozzi e cunicoli a
mezzo dei quali è possibile ricevere vettovaglie e armi dal mare e dalla campagna.
Ariadeno Barbarossa, vista la l’intenzione
dei puteolani di mettere in atto una tenace resistenza, il giorno dopo (25
giugno) fa sbarcare il grosso delle sue truppe sulla costa ai piedi della
Starza dando via all’assalto verso le mura che la popolazione si accinge a
proteggere con eroismo.
Nel frattempo ai difensori si sono aggiunti mille
cavalieri (spagnoli e napoletani) che il Vicerè Don Pedro di Toledo [6] ha
condotto con se dalla vicina capitale.
E’ così Pozzuoli
riesce a frustare le speranze del Barbarossa che, caso raro nella sua lunga e
sanguinaria carriera, non ottiene alcuna preda e bottino.
Pochissime sono le
vittime tra i difensori; le cronache spagnole parlano solo di loro connazionali,
un capitano dentro le mura e un altro soldato sulla spiaggia. Il Barbarossa è
un condottiero molto pratico, non tenta un’impresa se non è sicuro di poterla
portare a termine con successo. Pertanto prende la decisione di allontanarsi e
dirige l’armata nemica verso il Castello di Baia; ma anche lì i tentativi di incursione
e rapina riescono vani.
Quindi, fallito ogni
possibile saccheggio, sulla terraferma Flegrea, riprende la navigazione nel
corso della quale si racconta del suo tentativo di depredare Salerno; ma,
secondo la leggenda, una tempesta scatenata da San Matteo disperde la sua
flotta che poi assale e conquista l’isola di Lipari.
Il Barbarossa riprende il suo viaggio e
il suo rientro a Costantinopoli è un vero trionfo, porta in Oriente migliaia di schiavi
cristiani ed un ricco bottino; è acclamato “re del
mare” e per merito suo la potenza ottomana si impone su tutto il
Mediterraneo.
La “carriera” del
pirata prosegue
e Khayr al-Dīn continua fino alla fine a mettere a ferro e fuoco i Paesi del
Mediterraneo finchè, il 5 luglio del 1546, una violenta “febbre
gialla” lo uccide all’età di 81 anni.
Un imponente mausoleo [7] costruito a
Besiktas a nord di Costantinopoli, sulla riva europea del Bosforo, ricorda a
tutti la storia e le imprese del “protettore dell’Islam”. I Turchi, e non solo
loro, ne tramandano le gesta ed il suo spirito indomito
aleggia ancora sul Mediterraneo.
Oggi Besiktas è un quartiere della grande
Istanbul ed ospita la gloriosa squadra di calcio “Beşiktaş Jimnastik
Kulübü”, fondata nel 1903.
Oltre 2000 suoi tifosi, troppi, carichi, e molto
“vivaci”, s’apprestano a seguirla per l’incontro allo stadio San Paolo.
Sui portali dei suoi “ultras” sono apparsi incitamenti
e foto con striscioni che riportano frasi come:
"We are coming,
Napoli" [8].
“Napoli,
stiamo arrivando”.
Giuseppe
Peluso