Lucrino Beach
Sbarchi saraceni,
borbonici, italiani, americani
Le
morbide, azzurre e calde acque che vanno da punta Bambinella ad Arco Felice
fino alle Stufe di Nerone di Lucrino sono state testimoni di famosi
insediamenti balneari ospitati sulle altrettante mitiche spiagge.
Basti
ricordare gli storici Lidi Raja, Punzo, Virgilio, Fortuna, Favorita, Vittoria,
Ideale, Napoli Centrale, Napoli Stufe; trasformati e poi riuniti nei grandiosi
Lido Augusto e Lido Napoli.
Queste
stesse spiagge [1] sono state oggetto di sbarchi effettuati da saraceni che si
spingono fin qui per saccheggiare le vicine località flegree e per
approvvigionarsi d’acqua presso un vecchio acquedotto campano. I pirati vi
giungono seguendo una particolare rotta che sfrutta esistenti coni d’ombra nel
raggio di tiro dei cannoni piazzati ai castelli di Baia e di Pozzuoli.
Queste
stesse spiagge sono poi spettatrici di storiche esercitazioni anfibie
effettuate nel tempo da borboni, da italiani, da americani.
Ferdinando
II di Borbone sale al trono in giovane età, appena 20 anni, ma, consapevole dei
problemi politici del regno, compie numerose scelte strategiche sia in campo
civile che militare. Dotato di notevoli competenze stabilisce nuovi organici
per i corpi di fanteria e cavalleria, ne riordina i comandi ed approva un
regolamento che fissa i ruoli di ufficiali e sottufficiali e loro criteri di
promozione. Questa e altre riforme fanno, in meno di un decennio, dell'Esercito
uno strumento adeguatamente efficiente e moderno, adatto alle esigenze nazionali
e internazionali.
Nel
1847 Re Ferdinando pensa di fare un simulacro di guerra, per istruzione delle
sue truppe, e sceglie Pozzuoli per campo di battaglia. Il piano è quello di
sbarcare nei pressi di questa cittadina, prenderla d’assedio, e marciare poi verso
Napoli.
Partecipano
alle operazioni circa ventimila soldati, di cui una metà è disposta lungo la costa,
da Napoli a Pozzuoli, e l'altra metà imbarcata su battelli a vapore. L'armata
di terra è comandata dal generale Filangieri, quella di mare dal Re e dal
fratello il conte d'Aquila.
Cominciato
l'attacco Ferdinando II tenta di sbarcare a Bagnoli ma accortosi delle forze
nemiche, colà pronte ad attenderlo, prende a cannoneggiarle per tutto il litorale
e fa dirigere i piroscafi verso Pozzuoli. Il colpo riesce vano perché
Filangieri, in previsione di tale movimento, ha fortificato e munito di artiglierie
le alture da Montedolce a Pozzuoli, impedendone lo sbarco.
Allora
il Re, fingendo di voler concentrare a Baia il suo corpo d'armata, scende a terra
con le truppe sulla spiaggia ai piedi di Montenuovo. Però, invece di muovere
per Baia, prende la via litoranea per Pozzuoli, vecchia via Erculea ora
denominata Miliscola. Nel contempo il conte d'Aquila prende la via della
collina superiore, vecchia via Domitiana ora denominata Luciano, con l’intento
di stringere Pozzuoli da ambo i lati [2].
Il generale Filangieri, avvedutosi a tempo della diversione delle truppe regie e dell'imminente pericolo di un assalto alla città, con una strategia bene immaginata, comanda alle sue truppe di retrocedere davanti al nemico con finto fuoco di ritirata. Dopo di aver permesso al Re ed alla sua soldatesca, già sicuri della vittoria, di giungere all'abitato fin verso il palazzo Pollio, piomba loro addosso con la truppa nascosta in tre postazioni strategiche. Ovvero nei pressi del tempio di Serapide, luogo che gli permette di arrestare sulla fronte le truppe guidate dal Re; nella Masseria alla Starza, da poco acquistata dal nobile Francesco Ferraro, luogo che gli permette di aggirare il nemico dal retro; sulla collina di San Francesco, cosa che gli permette di separare le truppe guidate dal conte d’Aquila; praticamente li circonda da ogni parte e li fa tutti prigionieri.
Il generale Filangieri, avvedutosi a tempo della diversione delle truppe regie e dell'imminente pericolo di un assalto alla città, con una strategia bene immaginata, comanda alle sue truppe di retrocedere davanti al nemico con finto fuoco di ritirata. Dopo di aver permesso al Re ed alla sua soldatesca, già sicuri della vittoria, di giungere all'abitato fin verso il palazzo Pollio, piomba loro addosso con la truppa nascosta in tre postazioni strategiche. Ovvero nei pressi del tempio di Serapide, luogo che gli permette di arrestare sulla fronte le truppe guidate dal Re; nella Masseria alla Starza, da poco acquistata dal nobile Francesco Ferraro, luogo che gli permette di aggirare il nemico dal retro; sulla collina di San Francesco, cosa che gli permette di separare le truppe guidate dal conte d’Aquila; praticamente li circonda da ogni parte e li fa tutti prigionieri.
Sull’imbrunire
Ferdinando II, circondato dal suo Stato maggiore, fa riunire tutte le fanfare
in piazza della Malva, quella che oggi costituisce un giardino pubblico, ed
ivi, al tocco dell’Ave Maria e scoprendosi il capo, ordina che al suono delle
musiche tutte le truppe rendano in ginocchio ringraziamento a Dio della
giornata trascorsa.
In
tal modo finisce la così detta “Guerra finta”, di cui rimane viva la memoria a
Pozzuoli; la sconfitta del Re, per molti giorni, sarà oggetto di commenti
ironici.
Per
assistere ad altre operazioni anfibie su questa spiaggia bisogna attendere il
1904, lo stesso anno in cui il giovane avvocato Guido Ferraro, nipote del
citato Francesco e papà dell’ammiraglio Renato, veleggia per questi lidi sulla
sua “Zizià” [3].
Nel
settembre iniziano le grandiosi “Manovre Combinate fra Esercito e Marina”.
L’esigenza
di questa esercitazione nasce dalle possibili conseguenze derivanti dall’adesione
italiana alla Triplice Alleanza.
Con
questa coalizione, firmata nel 1882, si materializza il pericolo di una
aggressione da parte della Francia; non tanto dal confine alpino sul quale è
previsto un comportamento difensivo sia italiano che francese, ma da un
probabile grande sbarco nell’Italia meridionale che possa rendere il nemico
padrone di Napoli. Ipotesi suffragata dal nostro addetto militare a Parigi che
nel giugno del 1883 informa che gli ufficiali francesi della Scuola di guerra
studiano il tema di un’offensiva anfibia contro l’Italia meridionale; in
particolare nella zona di Napoli.
Su
tale presupposto Esercito e Marina conducono, negli anni immediatamente
successivi, le loro manovre a partiti contrapposti. La Marina suppone che la
squadra sia bloccata nella base di Spezia dalla più potente flotta nemica, ma
che una divisione, dislocata a Gaeta, riesca a intervenire contro la scorta al
convoglio francese impegnandola all’altezza di Fiumicino; entrambe le forze
navali subiscono gravi danni, però gli attaccanti raggiungono egualmente il
golfo di Pozzuoli sbarcandovi due corpi d’armata, più una divisione sulla
spiaggia del Lago Patria.
In
seguito, per sopperire alle deficienze dimostrate nel corso di dette
esercitazioni e migliorare le azioni difensive da mettere in atto, si arriva alle
manovre combinate tra Esercito e Marina del 1904.
Queste
iniziano il 1 settembre con un piano elaborato dal Capo di Stato Maggiore generale
Saletta. Si presuppone che la flotta avversaria abbia ridotto all’impotenza la
flotta nazionale e stia programmando uno sbarco sulla costa tra i Gaeta e Punta
Licosa con naturale obiettivo la citta di Napoli. Il X Corpo d’Armata, preposto
alla difesa della Campania, rafforzato da una brigata di milizia territoriale,
tenterà di opporsi allo sbarco attendendo rinforzi e il ritorno della Regia
Marina.
I
difensori, ovvero il partito azzurro comandato dal tenente generale Tarditi già
comandante della divisione di Napoli, dispongono di tre brigate di fanteria
(Abruzzi, Casale, Reggio), una brigata di milizia territoriale con tre
reggimenti, il 6° reggimento di cavalleria Aosta, tre batterie da 87mm del 1°
reggimento di artiglieria, una compagnia telegrafisti del 3° genio, una congrua
aliquota di servizi di sanità e commissariato, oltre a reparti di Carabinieri e
Guardia di Finanza in servizio locale e costiero. La difesa del litorale, al
comando del capitano di fregata Bollati di Saint-Pierre, è affidata ai due
incrociatori torpedinieri Agordat e Coatit con due squadriglie di sei
torpediniere ciascuna.
Gli
attaccanti, ovvero il partito rosso comandato dal tenente generale Radicati già
comandante la divisione di Salerno, dispongono della brigata di fanteria
Salerno, un battaglione dell’8° reggimento bersaglieri, tre squadroni del 11° reggimento
di cavalleria Foggia, due batterie da 75mm del 24° reggimento artiglieria, una
compagnia zappatori del 1° reggimento genio, congrue aliquote di servizi di
sanità e sussistenza.
Per
il trasporto delle truppe sono utilizzati dieci piroscafi noleggiati dalla
Navigazione Generale, tre corazzate, due incrociatori, due squadriglie di
cacciatorpediniere una di torpediniere; il tutto al comando dell’ammiraglio Carlo
Leone Reynaudi.
Direttore
delle manovre è il generale Tommaso Valles, già comandante del X corpo
dell’esercito; capo dei giudici di campo è il generale Allasom. Dalle colline che
circondano Pozzuoli, e tutti muniti di binocolo, assistono alle manovre il
ministro della guerra Ettore Pedotti, il tenente generale Gallina, l’ammiraglio
Augusto Aubry e tantissimi alti ufficiali. Tra gli osservatori stranieri si
notano il generale Stoessel, il generale Smirnow, l’ammiraglio Witheffe il
principe ereditario Guglielmo di Germania con la sua fidanzata.
L’imbarco delle truppe è eseguito a Napoli nella mattinata del
1 settembre sotto un cielo minaccioso [4-5].
Alle 16.00 è dato l’ordine di partenza, in direzione Ponza, dall’incrociatore Carlo Alberto ed i priroscafi mettono il segnale “Q” (che vuol dire pronto) all’albero di trinchetto. I priroscafi si dispongono su due linee; a destra l’Orione, il Manila, il Marco Minghetti, il Po e l’Entella. A sinistra il Montebello, il Vincenzo Florio, lo Scrivia, il Solferino e il Singapore. Alla testa l’ammiraglia incrociatore Carlo Alberto, preceduta da tre torpediniere e seguita dalle corazzate Emanuele Filiberto e Saint-Bon; su ognuno dei due lati del convoglio una squadriglia di quattro cacciatorpediniere; in retroguardia gli incrociatori Varese e Garibaldi [6] con, ad estrema retroguardia, altre tre torpediniere della stessa squadriglia di testa.
Alle 16.00 è dato l’ordine di partenza, in direzione Ponza, dall’incrociatore Carlo Alberto ed i priroscafi mettono il segnale “Q” (che vuol dire pronto) all’albero di trinchetto. I priroscafi si dispongono su due linee; a destra l’Orione, il Manila, il Marco Minghetti, il Po e l’Entella. A sinistra il Montebello, il Vincenzo Florio, lo Scrivia, il Solferino e il Singapore. Alla testa l’ammiraglia incrociatore Carlo Alberto, preceduta da tre torpediniere e seguita dalle corazzate Emanuele Filiberto e Saint-Bon; su ognuno dei due lati del convoglio una squadriglia di quattro cacciatorpediniere; in retroguardia gli incrociatori Varese e Garibaldi [6] con, ad estrema retroguardia, altre tre torpediniere della stessa squadriglia di testa.
Per tutto il giorno 2 il convoglio naviga attorno alle isole
ponziane e gli invasori fingono anche di tentare uno sbarco nei pressi di Gaeta,
per deviare l’attenzione dei difensori. Poi a tutto vapore si dirigono su
Napoli quando nelle prime ore del giorno 3, all’altezza dell’isola di Capri,
contro i piroscafi trasportanti la truppa [7] si lancaino gli incrociatori Coatit
e Agordat con le torpediniere di difesa. Ma le navi della squadra di offesa,
dopo vivo ed audace cannoggiamento le mettono fuori combattimento. Solo una
torpediniera della difesa, girando velocemente da Ischia, riesce a silurare la Montebello che si trova
più indietro. In suo aiuto accorre nave Garibaldi, ma la torpediniera riesce a
sottrarsi ai suoi tiri.
Alle 6.30 le torpediniere battute dalla squadra che protegge
le navi da sbarco vanno a rifugiarsi nel porto di Pozzuoli nel mentre verso Capo
Miseno si ode un forte cannonnegiamento. Sono le torpediniere del corpo
attaccante che avanzano in avanscoperta seguite dalla squadra in ordine di
battaglia; corazzate, incrociatori e caccia torpediniere circondano i piroscafi
carichi di truppa.
A 1500
metri dalla costa le navi bombardano le colline ove sono
apparse le milizie territoriali addette alla difesa della costa e dislocate a
Pozzuoli la sera del 2 settembre.
I piroscafi entrano nel magnifico specchio d’acqua di Baia,
circondato dalle ridenti colline di Montenuovo, Barbaro, Campiglione e dai
poggi che coronano la punta dell’Epitaffio. Il sito è incantevole e la giornata
è splendida. Le torpediniere fanno evoluzioni intorno alle navi e bombardano la
costa per tenerla sgombra. I dieci priroscafi con le truppe si dispongono lungo
la costa, che dai ruderi del tempio di Venere va fino alle vicinanze di
Pozzuoli, di fronte al Lago Lucrino.
I piroscafi al largo sono protetti dalle navi da guerra che
restano oltre la linea delle boe di verifica bussole; queste boe, unitamente ad
una torretta segnaletica (conosciuta come “Torre di Pulcinella”) costruita su
ruderi romani sommersi, da tempo sono utilizzate da navi della Regia Marina per
la verifica e rettifica delle bussole di bordo.
Una corazzata, la Emanuele Filiberto ,
è all’altezza di Bagnoli, per sorvegliare i movimenti della squadra nemica.
Intanto la milizia territoriale del corpo di difesa si avvicina a Montenuovo.
Dalle torpediniere si procede ad un vivo cannonneggiamento che costringe il
nemico a ritirarsi.
Alle 7,15 incominciano le operazioni di sbarco, dalle navi e
dai piroscafi sono calate in mare tutte le imbarcazioni disponibili dentro le
quali prendono posto le truppe. Le imbarcazioni, a due, a tre alla volta, sono
rimorchiate da lance a vapore.
La prima a scendere a terra è la compagnia di sbarco della
nave Saint-Bon [8],
agli ordini del tenente di vascello Durazzo, con tre ufficiali in completa tenuta di guerra. In tale momento il cielo si oscura lasciando cadere una pioggia che dura oltre un quarto d’ora. Le imbarcazioni, sotto la pioggia, si accostano alla riva sotto Montenuovo; i marinai per fare più presto a scendere entrano nell’acqua fino alle ginocchia.
agli ordini del tenente di vascello Durazzo, con tre ufficiali in completa tenuta di guerra. In tale momento il cielo si oscura lasciando cadere una pioggia che dura oltre un quarto d’ora. Le imbarcazioni, sotto la pioggia, si accostano alla riva sotto Montenuovo; i marinai per fare più presto a scendere entrano nell’acqua fino alle ginocchia.
A
misura che le compagnie di sbarco giungono a terra, parte dei marinai sono
mandati in perlustrazione verso Baia e verso Pozzuoli; un’altra compagnia va in
perlustrazione su Monte Barbaro e Campiglione.
Il
resto si affretta a costruire un piccolo pontile per facilitare lo sbarco delle
truppe [9],
ed a piantare bandiere rosse e gialle per indicare il punto di sbarco alle rispettive navi.
ed a piantare bandiere rosse e gialle per indicare il punto di sbarco alle rispettive navi.
Dopo
i marinai scendono a terra i reparti del genio col materiale dei pontili di
sbarco, subito costruiti, e alle 8,45 iniziano a scendere quattro compagnie di
bersaglieri trasportate da 13 baleniere rimorchiate [10].
Frattanto
il tempo si rasserena e dal colle di Montenuovo un piccolo distaccamento della
milizia territoriale, che si è tenuto nascosto in una piccola frangia naturale
di sassi, inizia un vivissimo fuoco di fucileria contro i bersaglieri.
Subito
la corazzata Saint-Bon lancia contro Montenuovo tre cannonate e il piccolo
distaccamento si ritira di corsa. Poco dopo i bersaglieri ed i marinai occupano
la collina.
Alle
10.30 sbarcano i soldati del 89° e 90° reggimento fanteria, brigata Salerno
[11]; i marinai ed i genieri sgomberano subito per facilitare lo sbarco.
Alle
11.00 dalle navi da guerra cominciano a scendere piccoli cannoni da sbarco
belli e montati a mezzo dei zatteroni che trasportano quattro pezzi alla volta.
Poi i cavalli anch’essi trasportati a riva dai zatteroni sui quali si trovano
due marinai; questi coi remi dirigono la rotta ed in prossimità della spiaggia
ricevono da terra un ponte cha facilità l’approdo.
Sulla
spiaggia funziona un semaforo improvvisato dall’equipaggio dall’ammiraglia Carlo
Alberto [12]
ed intanto altri marinai seminano delle mine che scoppiano con fragore.
ed intanto altri marinai seminano delle mine che scoppiano con fragore.
Tutte
le truppe, a misura che sbarcano, dopo essersi ricomposte per compagnie, si
dirigono sulle colline ad est del Lago Lucrino. Le compagnie di sbarco dei
bersaglieri e della fanteria occupano Monte Russo e Monte Ruscello; la cavalleria
i dintorni del Lago Averno [13];
l’obiettivo della fanteria è di raggiungerela Montagna Spaccata ,
dove gli avamposti sono quasi a contatto, e poi Napoli.
l’obiettivo della fanteria è di raggiungere
Le
operazioni di sbarco continuano; alle 17.30 sbarca l’artiglieria [14],
alle 19.30 i carriaggi [15]
ed a mezzanotte la sussistenza [16]; molti soldati custodiscono le vie principali con l’ordine di non lasciar passare nessuno.
alle 19.30 i carriaggi [15]
ed a mezzanotte la sussistenza [16]; molti soldati custodiscono le vie principali con l’ordine di non lasciar passare nessuno.
Intanto
il partito azzurro, che ha le sue forze dislocate tra Qualiano e Giugliano, suppone
di dover avanzare verso Torregaveta perché una finta notturna lo ha persuaso
che lo sbarco sarebbe avvenuto là.
In
realtà lo sbarco sarebbe avvenuto laggiù se all’alba del giorno 2 le
cattivissime condizioni del mare, molto mosso, non lo avessero reso arduo.
Solo
alle 7.30 del giorno 3, un telegramma ricevuto da Pozzuoli, rivela che lo
sbarco sta avvenendo fra Baia e Pozzuoli. Allora il partito azzurro dispone il
concentramento a Qualiano e, verso le 8.30, invia l’intero reggimento di
cavalleria Aosta verso la Montagna Spaccata
sparpagliandolo in varie direzioni per rassicurare la brigata Casale che pure avanza
verso il mare.
Gli
attaccanti marciano in senso inverso sulla stessa linea e i contendenti vengono
a contatto proprio nei pressi della Montagna Spaccata [17];
qui due compagnie di difesa respingono un battaglione di bersaglieri assalitori.
qui due compagnie di difesa respingono un battaglione di bersaglieri assalitori.
In
un altro breve combattimento agli Astroni gli sbarcati, che non hanno
cavalleria e artiglieria da mettere avanti, sono respinti. Nel pomeriggio la
manovra cessa mantenendo ognuno le proprie posizioni; ovvero i difensori il
Piano di Quarto e gli assalitori le alture già indicate e precedentemente
occupate [18].
Il
giorno 4 i difensori si trovano ad avere la brigata Abruzzi, formata dai
reggimenti 57° e 58°, schierata tra Monteruscello e Montagna Spaccata; la brigata
Casale, formata dai reggimenti 11° e 12°, tra Montagna Spaccata e Camaldoli; e
la brigata Reggio, formata dai reggimenti 45° e 46°, di riserva nella zona di
Marano; oltre a bersaglieri e milizie territoriali sparse nelle zone limitrofe
ai Campi Flegrei.
Il
lunedì 5 il direttore generale delle manovre prende nota del seguente dispositivo
dei due contendenti che cercano di trincerare le posizioni già occupate e di
rafforzarsi portando in prima linea truppe ed artiglierie [19]:
Gli
attaccanti, con la tattica precedente, si sono assicurati il possesso
dell’importante linea delle alture di Monte Barbaro, Monte Cigliano e Astroni.
Da informazioni che hanno assunto risulta che Napoli, salvo pochi reparti
costieri, sia sguarnita di truppe; pertanto spingono in quella direzione.
I
difensori sono interessati a trattenere il più a lungo possibile il nemico in
attesa di rinforzi. Il loro comandante ritiene che se saranno costretti a ritirarsi
le sue truppe dirigeranno verso il Volturno e cercheranno di raggiungere la
cittadella fortificata di Capua.
Gli
attaccanti ottengono rinforzi tali da pareggiare nel numero le forze avversarie
ed iniziano ad esercitare una pressione offensiva anche sulla loro sinistra,
dove fronteggiano la brigata Abruzzi, ed il giorno 6 riescono ad avanzare fino
ad occupare Giugliano e Marano. Si spingono fino a Pantano e Casal di Principe
e fanno retrocedere il nemico oltre il Volturno in direzione di Aversa e Caserta.
Il
giorno 8 settembre, Festa di Piedigrotta, i combattimenti osservano la
consolidata pausa [20] e riprendono il giorno dopo per poi terminare la sera
del giorno 10 quando i giudici impongono la cessazione delle esercitazioni.
Passano
circa quarant’anni e nella prima metà di dicembre 1943 arrivano a Pozzuoli i
Rangers americani del 1°, 3° e 4° battaglione. Hanno duramente combattuto nel
fango sul fronte di Cassino, nella zona di San Pietro Infine, subendo perdite
pari al quaranta per cento degli effettivi. I soldati piantano le loro tende a
Lucrino [21]
e gli ufficiali si insediano nell’albergo “Sibilla” che viene ribattezzato “Hotel Washington”. Nonostante sia già pieno inverno i soldati americani così ricordano questa località. “Lucrino con le sue morbide acque azzurre e sole caldo, in netto contrasto con la fredda e triste umidità di Monte Corno.”
e gli ufficiali si insediano nell’albergo “Sibilla” che viene ribattezzato “Hotel Washington”. Nonostante sia già pieno inverno i soldati americani così ricordano questa località. “Lucrino con le sue morbide acque azzurre e sole caldo, in netto contrasto con la fredda e triste umidità di Monte Corno.”
Per
il Natale è con loro anche Padre Albert Edward Basil, leggendaria figura di
cappellano militare cattolico. I rangers organizzano balli, serate cinematografiche
e spettacoli durante i quali ricevono la visita della cantante scozzese “Ella
Logan” che diventa la loro mascotte.
I
Rangers, comandati dal colonnello William Darby, sono destinati a costituire la
“punta di diamante” del previsto sbarco ad Anzio; pertanto si addestrano su
queste spiagge [22-23]
e su quelle di Cuma molto simili a quelle sulle quali, partendo da Pozzuoli, sbarcheranno il 22 gennaio.
e su quelle di Cuma molto simili a quelle sulle quali, partendo da Pozzuoli, sbarcheranno il 22 gennaio.
Proprio
a Pozzuoli, e mentre si imbarcano sulla Princess Beatrix, la Winchester Castle ,
la Royal Ulstream
e tre LST con destinazione le spiagge di Anzio, cantano:
I'm a good infantryman
With the rifle on his shoulder
I eat for breakfast crauto
Come give me my ammunition
Keep me in the third division
I'm
a good infantryman
Sono
un bravo fantaccino
Col
fucile sulla spalla
Mangio
crauto a colazione
Orsù
datemi la mia munizione
Tenetemi
nella terza divisione
Sono
un bravo fantaccino
La
canzone piace molto a Lucian Truscott, comandante la 3° divisione di cui i
rangers fanno parte; molto meno al colonnello Darby che commenta “sono convinti
che saranno rose e fiori, ma io credo di no.”
Purtroppo
ha ragione, per il 1° ed il 3° battaglione sarà un brutto incontro quello con i
carri Tigre tedeschi a Cisterna; solo sei rangers su 761 tornano indietro, gli
altri cadono o sono catturati.
BIBLIOGRAFIA
Simon Pocock – Campania 1943 - 2009
Raffaele de Cesare- La fine di un Regno
(Napoli e Sicilia) – 1900
Mariano Gabriele – Il fantasma dello sbarco –
SISM
AA.VV – L’Illustrazione Italiana n. 37 – 1904
Ian Westwell – US Rangers – 2003
F.Cappellano P.Formiconi – Esercitazioni
anfibie R.E. del 1904 – S.M. 2015