giovedì 19 novembre 2015

Campi Flegrei del Mar di Sicilia


I Campi Flegrei non sono unici
Ci sono anche quelli di Calcidica e quelli del Mar di Sicilia

Nel mentre gli autori antichi chiamano Flegri tutti i luoghi che buttano fuoco, quelli medioevali concordano nel dire che la vera Flegra sia situata in Terra di Lavoro. Ovvero in un luogo posto tra Campana e Quarto, con intorno dei Monti chiamati Leucogei per la loro bianchezza cagionata dal fuoco e dallo zolfo [1].

Tra i classici Diodoro Siculo [2], storico greco-siciliota che chiama Flegra anche il Vesuvio, racconta che Ercole partì dal Tevere e, percorrendo le regioni costiere del paese che per noi ora è l’Italia, raggiunse la piana di Cuma.

Il mito narra che qui esistevano uomini di forza superiore chiamati Giganti; famigerati perché non rispettavano alcuna legge. Tale piana era detta Flegrea, ossia “Ardente”, a causa di un monte che in tempi remoti aveva eruttato un fuoco immane; oggi codesto monte, continua Diodoro, è noto col nome di Vesuvio.
Quando i Giganti seppero dell’arrivo di Ercole si raccolsero tutti assieme e si disposero a battaglia contro di lui; ne nacque uno scontro poderoso per la forza e l’ardire dei Giganti, in cui si dice che Ercole, aiutato dagli Dei, alla fine trionfasse eliminandoli quasi tutti.

Polibio, (storico greco antico), continua a menzionare Timeo di Tauromenio, (storico greco-siciliano) [3], pur avendogli in precedenza dato dell’ignorante, riportandone una affermazione con la quale asserisce che tutta la pianura intorno a Capua e Nola si chiamava un tempo Flegrea. Che essa era stata occupata dagli Etruschi e godeva di grande reputazione per la sua fertilità.

Ribadisce poi che era chiamata, come altre, Flegrea con riferimento a Flegra-Pallene in Calcidica [4] dove la mitologia localizza la lotta tra Zeus e i Giganti.


In questo caso è fuori di dubbio che si debba connettere la battaglia dei Giganti e lo stesso toponimo Flegra al punto da indurre a ritenere che i Campi Flegrei siano una sorta di antica menzione di un'unica leggenda.
Infatti Eudossio (vescovo ariano e Patriarca di Antiochia) e Teagene (tiranno di Megara in Grecia) chiamano Flegra pure il Pallene di Tracia; ovvero la penisola dove sorge l’odierna Cassandra, la più occidentale delle tre penisole della Calcidica nel mare Egeo, che fu coinvolta nella lotta fra gli Dei e i Giganti.
Pertanto gli Antichi appellano con il nome Campi Flegrei tutti i luoghi che con tal nome esprimono sia la natura morfologica dei medesimi, per i fenomeni sulfurei e vulcanici, sia la natura mitologica degli stessi, quando riportano leggende di guerre di giganti.

Giacomo Martorelli, docente di greco e studioso delle antichità nel settecento, riconosce di origine Fenicia l’etmologia del nome Flegra: “mira contentio”, ovvero “meravigliosa contesa” e per lui la base è simile all’etimo della voce “Pallene”, “pale mirabilis”, ovvero “portentosa” [5].
Tutto questo rivoluzionerebbe le nostre certezze circa la derivazione greca di “terre ardenti” e confermerebbe quanto affermato da Diodoro in merito alle guerre, sia nella Pallene di Tracia che nei nostri Campi Flegrei, degli Dei contro i giganti invasori di tali fertili luoghi.
Ma la parola “flegrea”, quale derivazione di ardente, ha preso il sopravvento ed in tempi più recenti altre zone vulcaniche hanno di diritto preso possesso di questo appellativo.

I più famosi tra questi sono i “Campi Flegrei del Mar di Sicilia”, noti anche come “Campi Flegrei del Canale di Sicilia” [6].

Una regione vulcanica sottomarina situata nel canale di Sicilia tra la costa italiana, da cui dista 20 miglia nautiche in direzione nord-est, e l'isola di Pantelleria, in direzione sud-ovest; compresa quindi nelle acque territoriali italiane.
Questa regione vulcanica include una depressione a 1000 metri composta da dodici vulcani, tra cui il più famoso è l'Empedocle.
Gli altri vulcani che compongono i “Campi Flegrei del Mar di Sicilia” sono: “Anfitrite”; “Cimotoe”; “Galatea”; “Madrepore”; “Banco Nerita”; “Banco di Pantelleria”; “Pinne”; “Banco Smyt I”; “Banco Smyt II”; “Banco Terribile”; “Tetide”.

La prima eruzione conosciuta dei “Campi Flegrei del Mar di Sicilia” risale alla prima guerra punica verso il 253 a.C. quando i vulcani “Empedocle” e “Pinne” diventano attivi. Bisogna poi attendere il 1632 quando una seconda eruzione è riconosciuta come attività subacquea attribuita ad “Empedocle”.
Dopo un'attività discutibile del 1701 un'altra eruzione di questo vulcano va dal 28 giugno al 11 agosto 1831 quando dà vita all’isola “Ferdinandea”.

Già dal 22 giugno 1831 sono percepite scosse lievi a Sciacca, ma poi il 28 si sente un forte sussulto, accompagnato da cupo boato, e nello stesso giorno due battelli inglesi, navigando tra Sciacca e Pantelleria, subiscono dei colpi allo scafo, come se avessero urtato qualche cosa.

Il 2 luglio, sempre a Sciacca, si comincia a sentire un odore fetido e i pescatori riferiscono d’aver visto, al largo, il mare ribollire.
Due giorni dopo è raccolta, nello stesso braccio di mare, una grande quantità di pesci morti o tramortiti.
Il primo a osservare fumo e vapori è il capitano siciliano Trefiletti che, attirato da una nube e dai rumori, si avvicina con il suo battello "Gustavo" e vede: «l'acqua del mare sollevarsi per una forza meravigliosa e formare una colonna sormontata da fumo, per una altezza di circa 18 metri e un diametro di almeno 30».

I giorni 10 e 11 luglio il principe Pignatelli, avvicinandosi alla zona con una piccola barca, assiste all'eruzione di ceneri e pietre, accompagnata da lampi e fuochi di diversa forma e colore, ma non vede alcuna terra emersa.
La vede invece il 16 luglio Corrao, il comandante del bastimento napoletano "Teresina", che la valuta alta circa 12 piedi (3,6 metri) sul livello del mare.
E’ questa la nuova isola appena emersa che oggi si usa chiamare “Giulia Ferdinandea” unendo i nomi che le hanno dato il vulcanologo francese Constant Prevost e il vulcanologo napoletano Carlo Gemmellaro [7].


Ma l'isola è battezzata in vari modi dai suoi scopritori e "pretendenti" poiché si ritrova al centro di una travagliata disputa territoriale tra la Gran Bretagna, la Francia ed il Regno delle Due Sicilie.

Il 12 agosto corre sul posto il vulcanologo Gemmellaro, suddito del re delle Due Sicilie, che non riesce a sbarcare a causa delle eruzioni in atto. Comunque fornisce una descrizione dettagliata ed i primi disegni dell’isola che ha raggiunto tre miglia di perimetro ed una altezza di circa 60 metri.

Inizialmente l’isola è chiamata “Graham” dal capitano Jenhouse che vi giunge il 2 agosto 1831 e il 24 ne prende formalmente possesso in nome di Sua Maestà Britannica, piantandovi la bandiera inglese [8].


Il 26 settembre, per contrastare l’azione inglese, arriva in vista della nuova isola il geologo Constant Prevost, inviato dalla Francia a bordo della "Flèche", che la chiama “Giulia” (Juillet) perché nata nel mese di luglio.
Come gli inglesi, anche i francesi approdano sull'isola senza chiedere alcun permesso a re Ferdinando II di Borbone nonostante l'isola sia sorta entro acque prossime alle coste siciliane. Anzi i francesi pongono una targa con la seguente iscrizione: "Isola Iulia – i sigg. Constant Prévost, professore di geologia all'Università di Parigi – Edmond Joinville, pittore - 27, 28, 29 settembre 1831".
In segno di possesso viene innalzata sul punto più alto la bandiera francese.

Praticamente l'isola avrebbe goduto, all'epoca, dello stato di “insula in mari nata”; cioè, in quanto emersa dal mare, la prima nazione o persona a mettervi piede avrebbe potuto rivendicarla legittimamente, in questo caso gli Inglesi.
Il fatto che fosse in acque territoriali siciliane però complica la situazione e questi avvenimenti fanno montare una protesta degli abitanti del Regno delle Due Sicilie che, assieme a quelle del capitano Corrao, arrivano anche alla casa borbonica. Si propone di nominare l'isola con nome italiano e si chiedono al re provvedimenti contro il sopruso inglese.

Il re Ferdinando II, constatato l'interesse internazionale che l'isoletta ha suscitato, invia sul posto la corvetta “Etna” al comando dello stesso capitano Corrao il quale, sceso sull'isola, pianta la bandiera borbonica battezzando l'isola "Ferdinandea" in onore del suo sovrano.

Dalla fine dell'eruzione l'isola è soggetta a crolli ed sprofondamenti. Il 7 novembre si nota solo una grande e bassa spiaggia sulla quale si erge una collina alta 20 metri; a dicembre non si vede altro che il frangere delle onde su un basso fondale ed a gennaio 1832 si notano dei picchi solo a due metri di profondità.
A questo punto la storia dell’isola è conclusa; essa, formata da scorie e lapilli, è stata demolita dal moto ondoso e probabilmente anche abbassata da un collasso della camera magmatica. Resta una estesa secca, nota come ”Banco di Graham” (nome adottato dalla Royal Geographical Society di Londra riprendendo quello scelto dal capitano Denhouse), il cui punto più alto si trova ad otto metri dalla superficie [9].
 
Nel 1846, il 12 agosto 1863, nel 1867 e forse anche il 30 settembre 1911, l'isoletta riappare ancora in superficie, per poi scomparire nuovamente dopo pochi giorni. Di essa restano solo i molti nomi avuti in seguito alla disputa internazionale: “Julie”, “Nerita”, “Corrao”, “Hotham”, “Graham”, “Sciacca”, “Ferdinandea”; troppi per una piccola isola spuntata di colpo dal mare e rimasta visibile appena quattro mesi.

Ciò che avvenne in quella lontana estate altro non era che un fenomeno legato al diffuso vulcanesimo di questo tratto di mare. Oltre alle due isole completamente vulcaniche di Pantelleria e Linosa, in questo settore del Mediterraneo, ci sono infatti altri diversi apparati vulcanici sommersi che sono stati attivi in tempi geologici recenti. Per questi motivi questo tratto di mare è stato addirittura chiamato "Campi Flegrei del Mar di Sicilia", a indicarne l'intensa attività vulcanica e post-vulcanica con frequenti emissioni fumaroliche e termali; così come avviene nei nostri Campi Flegrei.

A scanso di equivoci, e visto probabili segnali premonitori di una riemersione dell’isola, i siciliani hanno posto sulla superficie del banco sottomarino una targa in pietra, sulla quale si legge:
«Questo lembo di terra una volta isola Ferdinandea era e sarà sempre del popolo siciliano.»

BIBLIOGRAFIA
AA.VV - Memorie Di Matematica E Fisica – 1799
AA.VV – Isola Ferdinandea – Wikipedia -
Paolo Colantoni –C’era una volta un’isola – luglio 1982

Paolo Colantoni – Rischio vulcanico - ENI – settembre 2011