domenica 22 giugno 2014

Mela Annurca









Mela Annurca
La Mala Orcula di Plinio


Nel 1950 Giuseppe Fiorito pubblica l’opuscolo “Annurche e Sergenti nei melai della Campania” incentrato proprio sull’annurca, la “regina delle mele”. Sfogliando questo opuscolo si comprende subito che l’annurca non è una mela qualsiasi, ma un vero e proprio capolavoro, risultato della grande  cura mostrata nei confronti di questo frutto dagli agricoltori.
La mela “annurca” è senza dubbio il frutto che maggiormente caratterizza la “Campania Felix”, anche perché fortemente legata a questa regione da tempi remotissimi; almeno da due millenni, come dimostrano i dipinti rinvenuti negli scavi di Ercolano ed in particolare nella Casa dei Cervi.
Le sue origini così come riporta Gaio Plinio Secondo, conosciuto come Plinio il Vecchio e Comandante della flotta tirrenica di stanza a Miseno, sono nella campagna puteolana, considerata all’epoca sede eletta degli Inferi. Proprio per la sua provenienza Plinio, nella sua “Naturalis Historia”, la chiama la “Mala Orcula”, in quanto prodotta intorno all’Orco (oltretomba, inferi). Da qui i nomi di “anorcola” e poi “annorcola” utilizzati nei secoli successivi fino a giungere al 1876, quando il nome “annurca” compare ufficialmente nel “Manuale di Arboricoltura” del botanico Giuseppe Antonio Pasquale.
Nel 1583 il filosofo e commediografo Gian Battista della Porta (la cui fama è tale che verso la fine del XVI secolo si dice fosse ritenuto, insieme ai bagni termali di Pozzuoli, la principale attrazione per i visitatori di Napoli) nel suo “Pomarium”, nel descrivere le mele che si producono a Pozzuoli cita testualmente “… le mele che da Varrone, Columella e Microbio sono dette orbiculate, provenienti da “Puzzoli”, hanno la buccia rossa, da sembrare macchiate nel sangue e sono dolci di sapore, volgarmente sono chiamate Orcole…”. 
Della Porta cita il letterato romano Marco Terenzio Varrone (116 a.c. – 27 a.c.) che nasce a Rieti dove è educato con disciplina e severità dai familiari di nobili origini. Varrone ha rilevanti proprietà terriere in Sabina ed altre zone, che poi integra con l’acquisto di lussuose ville nella nostra terra flegrea, a Baia. Nel suo “de re rustica”  elogia l'agricoltura nelle sue varie forme; sia da un punto di vista economico ma anche per il piacere che da essa si ricava. L’opera di Varrone è divisa in tre libri, di cui il primo “de agricoltura”, dedicato alla moglie, tratta dell’amministrazione delle proprietà terriere, dai piccoli campi alle grandi “villae”. Il secondo libro “de re pecuaria”, dedicato all'amico Turranio Nigro famoso allevatore, tratta dell’allevamento degli armenti e della pastorizia. Il terzo libro “de villatica pastione” o “de villaticis pastionibus”, dedicato all’amico Quinto Pinnio, tratta degli altri animali allevabili nelle grandi “villae”. L'opera si colloca nell'emergente crisi agricola nella Roma post-guerra civile; ed a tale scopo intende fornire consigli che possano ottimizzare la resa dei terreni, allora coltivati con metodi estensivi e in verità poco fruttuosi.
Della Porta cita anche Lucio Giunio Moderato Columella (4 d.c – 70 d.c) altro scrittore romano di agricoltura che dopo la carriera nell'esercito incomincia l'attività di fattore. Il suo trattato “De re rustica”, in dodici volumi, rappresenta una delle maggiori fonte di conoscenza circa l'agricoltura romana. Suo zio Marco Columella, da lui definito "un uomo astuto ed uno splendido fattore", ha condotto esperimenti vari a livello zoologico, tra cui anche incroci di specie, ed influenza molto gli interessi del nipote. Columella possiede fattorie in Italia e parla più volte della propria esperienza pratica in agricoltura.
Nei secoli la mela annurca si sposta dall’agro puteolano, suo luogo di origine, ed approda in terre dove le caratteristiche del frutto si esaltano; prima nell’area aversana ed esattamente nel “quadrilatero” al confine tra Sannio e Caserta, poi via via nel Nocerino, nell’Irno, nel Picentino e successivamente nell’Alto Casertano.
L’annurca non va semplicemente raccolta, ma va trattata e selezionata perché la maturazione del frutto non avviene sulla pianta; i pomi vanno raccolti ancora acerbi. E non per un semplice cruccio degli agricoltori, bensì per un motivo ben preciso; il peduncolo, particolarmente corto e che va in genere dai 7 ai 14 millimetri, si mostra poco resistente e non garantisce la completa maturazione sugli alberi.
La raccolta avviene nei primissimi giorni del mese di ottobre; le mele vanno messe in apposite ceste per poi essere delicatamente trasportate nei “melai”, il luogo dove avviene la successiva maturazione. I frutti vanno raccolti con il bel tempo, in condizioni di asciutto e non devono essere bagnati nemmeno di rugiada. Ovviamente la raccolta dei frutti dalla pianta viene effettuata a mano, così come l’intero processo lavorativo che avviene nei “melai”.
Il melaio, composto da piccoli appezzamenti di terreno di larghezza non superiore ad un metro e mezzo, è sistemato adeguatamente in modo da evitare ristagni idrici. Vi vengono costruiti dei veri e propri letti formati da materiale soffice vario (paglia, aghi di pino, trucioli di legno,…). Fino a pochi decenni addietro venivano impiegati i cosiddetti “cannutoli”, le parti di minor pregio che derivavano dalla lavorazione della canapa, una fibra tessile che si ottiene da una pianta erbacea annua, particolarmente diffusa nella terra campana. Fino alla metà degli anni Sessanta la Campania, insieme all’Emilia Romagna, produce la quasi totalità di canapa che in quel periodo viene prodotta in Italia.
Percorrendo le strade che congiungono i centri di Valle di Maddaloni con Dugenta e Sant’Agata dei Goti nel periodo ottobre - novembre si resta particolarmente colpiti dal “rossore” che questi frutti vanno acquistando adagiati sui morbidi “letti”. I melai donano una colorita vivacità a questo angolo della campagna che va abbandonandosi al riposo invernale.
Sui “letti” vengono adagiate soltanto le mele sane, indenni da attacchi parassitari e prive di residui antiparassitari e di sapori estranei. I frutti sono disposti su file, esponendo alla luce la parte meno arrossata. Per la protezione dall’eccessivo irraggiamento solare e da eventuali intemperie climatiche i melai sono coperti da appositi teli; una volta venivano impiegate a questo scopo delle frasche, generalmente di castagno. Altra precauzione è quella di innaffiare le mele nelle ore serali, una pratica che fa sì che i frutti non perdano parte della percentuale d’acqua contenuta all’interno evitando, quindi, la possibilità di raggrinzimento del frutto, e nello stesso tempo rallenta la maturazione mantenendo più bassa la temperatura.
In genere la maturazione ottimale delle annurche arriva a  metà dicembre, in tempo per il periodo natalizio; non a caso costituiscono il modo migliore con cui in Campania terminano i luculliani pranzi delle feste legate all’Avvento.
Dalla raccolta al termine dell’arrossamento le mele vengono girate (“passate”) diverse volte, in media ogni 8 -15 giorni, a seconda dell’andamento climatico. Ed ogni volta si esegue anche lo scarto dei frutti intaccati o marciti. La faticosa pratica per la maturazione e il laborioso processo per l’ottimale conservazione presentano notevoli costi di produzione rispetto alle mele che finiscono sul mercato subito dopo la raccolta; un punto certamente a sfavore per il posizionamento di questi pomi che, nonostante ciò, vede allargarsi la platea dei consumatori, oltre a quelli campani e laziali che da sempre apprezzano questo frutto.

AnnaMaria D’Isanto racconta: L'annurca e' la regina delle mele. Ha rischiato l'estinzione per l'incapacita' nostrana di valorizzare le nostre eccellenze. Ora abbiamo le melinde, le fuji......., ma non hanno le qualita' della nostra annurca. Papa' e mamma  mi dicevano "Per individuare l'annurca guarda bene il buco dove c'e' il peduncolo, deve essere ben profondo, altrimenti si tratta della sergente che e' una varieta' inferiore".
Antonella Marotta  riferisce che comunque le sergenti erano squisite, succose e croccantissime. Così continua: Le annurche erano, a casa mia, la mano santa per decotti e per la nutrizione dei bambini e grattugiate ai vecchietti. Che bontà, mio padre le prendeva in campagna e non mancava mai una cassetta di sergenti e annurche fuori al balcone. Il nostro snack.

AnnaMaria D’Isanto rincalza: E' vero, le sergenti non mancavano mai per fare i decotti specialmente d'inverno mattina e sera. E che dire al forno con lo zucchero "una bonta'! Anche ai piccoli si facevano grattugiate durante lo svezzamento! Ricordo quando si andava in vacanza me le portavo per i miei bambini…

Sibilla racconta: Mia Madre faceva il decotto di mele annurche per curare catarri e raffreddori: Mele spaccate, fico secco, lauro... cottura lenta per ore,  poi lo sciroppo veniva dolcificato e te l'aviva bevere,,,senò erano mazzate, però poi, ù catarr, spariva come per magia! Io lo faccio ancora!
Eppure stiamo parlando di un frutto che ha rischiato addirittura di scomparire; l’annurca, particolarmente consumata fino al periodo del secondo conflitto bellico mondiale, nei decenni Cinquanta - Sessanta era finita ad occupare un ruolo veramente marginale, presa d’assalto dalle “nuove mele”, soprattutto quelle che arrivavano dal Nuovo Continente, più “belle” e soprattutto di più facile produzione.

Negli ultimi anni, poi, la rivincita; questo frutto, contrariamente al passato di defilippiana memoria, non finisce come cibo per i maiali. Anzi, come spesso succede nelle favole a lieto fine, ha conquistato le tavole dei buongustai più esigenti, tanto che oramai in riferimento alla mela annurca si usa contraddistinguerla con la definizione di “regina delle mele”; inoltre essa si fregia del marchio “IGP” (Indicazione Geografica Protetta).
Eppure a guardarla non si direbbe. Tra le tante mele che espongono i banchi frutta dei supermercati, l’annurca è quella che a vista si presenta come la meno bella, molto piccola, poco accostabile alle tipologie dalle grandi dimensioni e dalle bucce lisce e lucidissime. Ma per coloro che riescono ad andare oltre l’apparenza ecco aprirsi un ventaglio gustativo senza confronti; dolce, succosa, aromatica, piacevolmente acidula e soprattutto con la particolarità di mantenere per lungo tempo queste unicità organolettiche.
Giuseppe Peluso