domenica 14 novembre 2021

Don Ambrogio, organista della Cattedrale

LA LEGGENDA DELL’ORGANISTA SULLA TERRA

Don Ambrogio nella Cattedrale di Pozzuoli, tra Santità e Soavità

 

Sul sito “Organi & Organisti” Giosuè Berbenni traccia le regole professionali e spirituali per l’organista di chiesa e riporta quanto affermato nel 1608 dal grande organaro Costanzo Antegnati:

«L’organista, avendo a che fare con la santità del luogo e trattando cose sante, deve essere una persona di costumi santi»

 

….e don Ambrogio era così! … Si!.... era proprio così!

Lo commemoriamo con gratitudine e, per amor suo facciamo un passo indietro.

Il vescovo Pietro Cavalcanti, che resse la Diocesi di Pozzuoli tra il 1713 e il 1723, è ricordato per essere stato, dopo Martin de Leon y Cardenas, uno dei pastori più impegnati nell’apportare miglioramenti alla Cattedrale dedicata al martire Procolo.

Proprio Pietro dota la basilica di un nuovo organo inizialmente collocato al di sopra della Cappella della Beata Vergine; dove poi nel 1781 il vescovo Girolamo Dandolfi depone lo scrigno con le reliquie, del Santo Martire, appena rientrate dalla badia sul lago di Costanza.

Sarà Nicola De Rosa, vescovo dal 1733 al 1774, a realizzare la Cantoria sull’ingresso principale ed a collocarvi l’organo con tutti i suoi componenti:

-      le canne che ne costituiscono la parte più scenografica;

-      la cassa di legno, contenente l’aria, su cui poggiano le canne;

-      i mantici che producono l’aria utile alle canne;

-      la manovella che girando aziona il meccanismo dei mantici;

-      la tastiera, posta vicinissima alla cassa;

-      i registri che servono a scegliere le canne in cui inviare l’aria;

-      la pedaliera che serve a riprodurre i suoni più gravi.

La Cantoria, realizzata tutta in legno intagliato, poggia su due colonne che ne sorreggono l’arrotondata parte centrale più sporgente. L’alta balaustra, che delimita la balconata verso la navata della chiesa, è decorata e laccata in oro zecchino.

Il complesso si presenta stilisticamente armonico e ben inserito nella seicentesca Cattedrale barocca. Ed è in questo aspetto che, i più anziani tra noi, hanno potuto ammirarla prima del tragico incendio della notte tra il 16 e il 17 maggio 1964 [1].

 La Cantoria sembra sospesa al cielo; per accedervi bisogna raggiungere un piccolo vano adiacente alla sacrestia; dove attualmente c’è il passaggio tra la Cattedrale e la Cappella del Santissimo Corpo di Cristo (detta Coretto). Da questo vano si sale a mezzo di una scala di legno e poi, attraverso una porticina, si accede all’organo.

Lo storico Raffaele Giamminelli, ricordando la sua fanciullezza, racconta:

«Durante le grandi Celebrazioni, quelle presiedute dal vescovo, non mancava la dolce armonia dell’antico organo suonato dal canonico Ambrogio D’Ambrosio, curato della Chiesa del SS. Rosario e S. Vincenzo Ferrer [2].


Don Ambrogio prendeva posto alla grande tastiera e noi scugnizzi pronti a girare il grande mantice ad aria per alimentare le canne dell’organo. Sembrava un gioco far muovere il volano, ma ci stancavamo subito; per fortuna eravamo organizzati in piccole squadre che si avvicendavano.

Qualche volta capitava che il suono affievoliva, e allora si dava più forza per aumentare la pressione dell’aria; spesso ci scappava lo “scappellotto” del sacrestano Bastianiello.

Nei rari momenti di riposo, ma spesso ero io che mi sottraevo alla fatica, mi affacciavo dall’alto parapetto, aiutandomi con uno scanno, per ammirare, rimanendo incantato, l’intera cattedrale illuminata da numerosi lampadari di cristallo delle cappelle laterali e dell’arco trionfale tra la navata e il coro. Ricca di marmi colorati, con drappi rossi e bianchi che scendevano dai cornicioni.» [3]

Luigi Iacuaniello, che in quegli stessi anni fu seminarista, ricorda:

«La Cantoria con l’organo grande la si
raggiungeva attraverso una scala di legno posta in un piccolo vano, in precarie condizioni, dove c’era un quadro elettrico: terminale di tutti i cavi relativi alla illuminazione della Chiesa e, secondo me, è in quel punto che è iniziato il corto che ha fatto incendiare la Cattedrale.

Quest’organo era usato per le funzioni più solenni e c’era la manovella che dovevi girare per farlo funzionare. Bisognava metterci molta forza e ci si stancava facilmente, per questo ci voleva un bel gruppetto di ragazzi che si davano il cambio.» [4]

                 

Il professore Giamminelli ha raccontato la meraviglia di un bambino nell’ammirare la

cattedrale dall’alto; io ricordo la meraviglia di tutti i bambini quando, seduti sulle infinite file di sedie impagliate giù nella navata, sono improvvisamente sommersi da musiche e canti.

Tutti insieme si girano all’indietro rivolgendo lo sguardo in alto, senza riuscire a scorgere gli autori di quelle armonie.

Per tutti è facile immaginare che siano gli angeli gli artefici di quelle dolci soavità, che provengano dall’alto, … forse dal cielo.

No!   Non sono gli angeli che suonano.  E’ don Ambrogio!

 Ambrogio D’Ambrosio nasce a Pozzuoli il 10 ottobre 1911 in una Famiglia che annovera numerose vocazioni verso il servizio sacerdotale.

Don Raffaele Russo, nella rievocazione che ne fa sulla rivista “Proculus”, definisce quella di Ambrogio una “vocazione adulta” in quanto il ragazzo, nonostante i precedenti familiari, non mostra particolari segni verso l’impegno vocazionale; solo nel suo intimo, in rispettoso silenzio, avverte la presenza viva di Gesù.

Adolescente frequenta moltissimi amici tra cui i fratelli Peluso, restando molto legato ad Antonio che sempre appellerà con un termine giudicato oggi moderno: “il mio prof di matematica”.

Ambrogio consegue il diploma di pianoforte più quello di organista presso il conservatorio, allora prestigiosa scuola di musica “San Ferdinando”, di Salerno ed i nostri genitori, suoi coetanei, lo ricordano giovanotto suonare il pianoforte nei locali cinematografici dove accompagna la proiezione degli allora film muti.

Compie poi il “gran passo” che lo porterà a donare la sua vita e nel settembre del 1940, durante il primo anno di guerra, è ordinato sacerdote.

Subito mette le sue conoscenze e capacità al servizio dei giovani, e questo offrirsi sarà una costante del suo lungo sacerdozio; insegna loro a stare insieme, a comunicare, … a fare comunità.

Nonostante i bombardamenti, le notti passate nei ricoveri, la mancanza di cibo e di notizie, lui continua a riunire bambini e ragazzi; li fa cantare, li fa giocare, li fa pregare!

 Nel 1950 è fatto canonico della Cattedrale e nel 1954 nominato Economo della Parrocchia del SS. Rosario e di San Vincenzo Ferrer di cui diventa parroco nel 1971.

Lascia la sua parrocchia solo per recarsi al Duomo dove, oltre che l’antico strumento a canne utilizzato per le grandi occasioni, don Ambrogio suona anche un secondo organo, più moderno.

La tastiera di questo è sistemata nel primo angolo del Coro, lato destro (Cornu Epistolae), immediatamente dopo la marmorea balaustre finemente lavorata. Esattamente sotto la tela “Adorazione dei Magi” di Artemisia Gentileschi.

Oltre don Ambrogio qui si raccolgono i coristi, spesso giovani tra cui suo nipote Vincenzo, da lui stesso preparati e condotti; sempre qui prendono posto tenori e soprano che eseguono classici brani sacri [5].


L’incendio del Duomo, e poi le crisi bradisismiche, mettono fine a queste tradizioni in questo sacro luogo, ma non allo spirito di servizio di don Ambrogio che, dovendo abbandonare Pozzuoli, continua il suo ministero al Lago Patria e poi al Parco De Luca, improvvisando una cappella dove non può mancare l’organo [6].


Neppure le sofferenze e le malattie attenuano il suo zelo; muore il 26 luglio del 1988, umilmente e senza clamore, come è vissuto, lasciando in tutti un grande rimpianto.

Il suo atteggiamento, timido e schivo, lo porta a celare il suo grande talento di musicista; talento che ha usato solo per il servizio liturgico.

Una persona di “costumi santi", come voleva la regola professionale e spirituale tracciata secoli prima.

 

 

CREDITI

R. Giamminelli – La Pasqua sul Rione Terra

R. Russo – In memoria di don Ambrogio D’Ambrosio

V. D’Ambrosio – Archivio Familiare

L. Iacuaniello – Ricordi di un seminarista

  

GIUSEPPE PELUSO – novembre 2021


1 commento:

  1. Grande, come sempre, il mio vecchio amico di gioventù passata.
    Che tu fossi destinato a grandi cose io l'avevo previsto.
    Il mio cruccio è che il tuo certosino lavoro non viene giustamente valutato ed apprezzato se non da amanti della storia puteolana.

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