lunedì 12 luglio 2021

I Popolani Napoletani assaltano Pozzuoli

 


La Rivolta di Masaniello e l’assedio a Pozzuoli

Il borgo vicereale difeso da “chelle piezz' ‘e puzzulane”

 

Quello che leggerete è Storia vera che meriterebbe essere ogni anno commemorata; una vicenda nel corso della quale i puteolani (contadini, pescatori, artigiani, sacerdoti, anziani, invalidi, donne e bambini), tutti trasformati in combattenti, sono chiamati a difendere la loro Città, la loro Casa, la loro Dignità.

Inizialmente un accenno al contesto storico in cui questo episodio è inserito.

 

Siamo nella Pozzuoli vicereale che fin dal 1503, unitamente a tutto il Regno di Napoli, è sotto diretto dominio della Spagna che governa a mezzo di un viceré, nominato da Madrid.

C’è un pesante carico fiscale, esoso e scellerato, i tributi non sono utilizzati per le opere pubbliche ma per finanziare i fasti della corte spagnola e le spese delle guerre intraprese. Le tasse gravano particolarmente sul popolo perché la nobiltà e il clero godono di enormi privilegi e notevoli esenzioni.

La rivolta scoppia il 7 luglio del 1647 quando alcuni contadini della città di Pozzuoli, avendo la mattina di quel giorno portate alcune sporte di fichi al mercato di Napoli, sono sollecitati dagli esattori del dazio al pagamento della relativa gabella.

Uno de’ contadini, il puteolano Maso Carrese cognato di Tommaso Aniello (Masaniello) [1], non avendo denaro versa rabbiosamente, e con una imprecazione, un cesto di fichi per terra.


Accorrono molti a raccoglierli, alcuni con risa e altri con collera, e al rumoroso strepitio sopravviene Masaniello che, insieme a numerosi scugnizzi, comincia a saccheggiare il posto daziale, scacciandone le guardie e dando così inizio alla famosa insurrezione.

 Ma la ribellione non riesce a far breccia nel paese natale di Maso Carrese che con il suo gesto plateale ne ha segnato l’inizio. Pozzuoli, anche per la benefica e attiva presenza del suo vescovo Martin de Leon y Cardenas, patteggia apertamente per il governo regio ed il suo porto fornisce sicuro approdo al naviglio reale che inizia a giungere da Gaeta e dalla Spagna.

Presidi militari difendono Pozzuoli da incauti attacchi tentati dai rivoluzionari e nel contempo rifornimenti di armi e vitto partono dal nostro molo verso la truppa spagnola asserragliata nei forti della capitale.

Masaniello è assassinato il seguente 16 luglio ma la sua morte non spegne la sedizione capeggiata ora dall’armaiolo Gennaro Annese che cerca di dar vita a una repubblica.

La posizione di Annese si rafforza portando avanti un programma di aperta ribellione alla Spagna dalla quale giunge anche una armata comandata da Giovanni d’Austria [2], figlio naturale di re Filippo IV.

Gli spagnoli tentano di occupare punti nevralgici di Napoli, bloccando l’arrivo di vettovaglie dai dintorni, per costringere in tal modo i popolani alla resa.

Allora Annese chiede aiuto alla Francia, nemica storica della Spagna. L’appello è raccolto dal francese duca Enrico di Guisa [3], nominato “Capo militare” dell’appena proclamata “Real Repubblica Napoletana”, il quale riscuote subito gran successo presso i baroni dell’entroterra cui promette titoli e cariche.



In questo periodo la lotta tra regi e popolani si sviluppa particolarmente per l’approvvigionamento dei viveri da distribuire nella parte della città di Napoli rimasta fedele all’uno o all’altro schieramento.

I regi mirano a creare un blocco intorno alla città per evitare che giungano rifornimenti consistenti ai ribelli; pertanto consolidano l’occupazione di Acerra, di Nola e di altre piazze che sono sulle principali strade che provengono dagli Abruzzi, dalle Puglie e dalle Calabrie.

Intanto il duca di Guisa, consapevole che Napoli possa cedere senza approvvigionamento di viveri, raccoglie circa tremila popolani e ai primi di dicembre assale Aversa e altri luoghi tenuti dai regi per liberare le strade, aprire il transito ai viveri e proseguire alla conquista del Regno.

La strada da Aversa, attraverso Giugliano, Marano, Quarto e Pozzuoli, finisce per essere controllata dai popolani, per cui i trasporti dei generi alimentari, seppure scortati dall’esercito, spesso finiscono nelle mani dei ribelli.

Il poco vettovagliamento che giunge a Pozzuoli è opera di laboriosa contrattazione e scambi che i puteolani effettuano direttamente con i contadini dell’agro aversano-giuglianese. Prodotti del mare in cambio di prodotti della terra e questo in barba ai notabili puteolani che patteggiano apertamente per gli spagnoli e ai notabili dei Casali che patteggiano apertamente per i francesi.

Comunque quel poco che pur giunge a Pozzuoli, non potendo passare attraverso la grotta che collega Fuorigrotta con Piedigrotta controllata dai ribelli, è spedito a Napoli via mare [4a].

 

L’otto ottobre gli insorti ingiungono ai puteolani l’invito a partecipare attivamente alla ribellione con l’inviare in loro soccorso cinquecento armati e li minacciano che in caso di rifiuto sarebbero venuti ad incendiare la città.

Il 19 gennaio del 1648 i popolani napoletani, offesi che i puteolani non solo non si sono uniti a loro nella sollevazione ma continuano a fornire aiuti ai regolari spagnoli, con seimila uomini armati si muovono per assalirla e soggiogarla.

I rivoltosi partenopei, che comunque non sono riusciti a conquistare i forti della stessa città di Napoli, sono ben consci di non essere un esercito regolare e di non possedere attrezzature e tecniche per tentare un assedio alla munita roccaforte (Rione Terra) puteolana difesa anche da truppe regolari spagnole.

Si incamminano quindi verso il capoluogo flegreo con l’intento di conquistarne, devastarne e derubarne il solo indifeso borgo; con i ricchi magazzini ed il porto con il numeroso naviglio.

Sperano che quest’azione possa intimorire ed indurre a capitolare i puteolani che sicuramente si saranno rifugiati sulla rocca, all’interno del munito “castrum”.

Attraverso i colli della Solfatara si dirigono verso Pozzuoli ma sono accolti da una nutrita scarica di fucili e palle di cannoni che provocano ampi vuoti tra le loro fila.

Dopo questo ammaestramento si consultano e si accostano alle difese puteolane con maggior circospezione. Decidono di dividersi in due colonne e avvicinarsi a Pozzuoli da due differenti direzioni; lungo la strada di Santa Caterina (ora San Raffaele in via Rosini) e lungo la strada di San Francesco (ora Sant’Antonio in via Pergolesi).

Ma queste due Chiese sono state rafforzate tanto da costituire delle vigorose roccaforti e, unitamente al “Palazzo Fortezza” del Marchese di Villa (attuale Palazzo Capomazza nell’omonimo viale) e al Palazzo e Torre di Don Pedro di Toledo, costituiscono i quattro perni su cui va ad ancorarsi la principale difesa della città [4b].



Questi caposaldi sono tra loro collegati da vigorose opere di resistenza e tutta la città di Pozzuoli, con il suo campo di battaglia, è stato ben raffigurato nella mappa realizzata, poco dopo questi avvenimenti, da Alberico de Cuneo su commissione di Martin Leon y Cardenas [5a].


Gli assalitori napoletani ignorano, e proprio non immaginano, che i puteolani non hanno abbandonato il borgo alla facile conquista dei rivoltosi e che hanno realizzato possenti opere difensive esterne al Rione Terra.

La rocca ora costituisce solo il secondo anello protettivo, per quanto riguarda il fronte terrestre; solo le sue ripidi pareti, a picco sul mare, continuano a far parte della linea difensiva principale [5b].

Il nuovo e complesso fronte difensivo merita d’essere descritto per intero lungo tutto il suo perimetro.

 

-      La linea difensiva del tratto orientale, che domina sulle parule lungo la via che porta al Monte Olibano, è difeso dalle estreme alte mura del Rione Terra nonchè dai contrafforti che sostengono l’alta terrazza marina [6a, 6b]. Lungo la litoranea ci sono tre piccoli presidi, attestati in altrettante antiche fabbriche termali, idonei a rintuzzare improbabili assalti provenienti dai Bagnoli. Improbabili perché la costa è pattugliata dalla flotta vicerale e la squadra navale francese, anche se rappresentata nella citata mappa del ‘de Cuneo, ancora non osa schierarsi apertamente contro la Spagna.




-      La linea difensiva retta che corre tra la Chiesa di Santa Caterina e il Palazzo del Marchese di Villa (che nella mappa del ‘de Cuneo appare come un fortino), la più interessata ad un probabile attacco come in effetti si verificherà, presenta interessanti opere difensive [7a, 7b]. I nostri concittadini hanno scavato una trincea, lungo l’attuale viale Capomazza, con doppio fossato ed hanno eretto una palizzata lungo tutto il percorso. La strada San Giacomo (attuale via Rosini) è stata tagliata per interromperla ed impedire assalti diretti.





-      La linea difensiva che corre tra il Palazzo del Marchese di Villa e il complesso di San Francesco presenta anch’essa una trincea con doppio fossato e palizzata [8a, 8b]. Non corre in linea retta ma segue e si appoggia a innumerevoli ruderi romani, che forniscono ostruzioni e sbarramenti già pronti, nonché al fortificato palazzo e torre del Principe di Noia. Questa linea difensiva è attraversabile in un solo punto, lontano dalle due principali strade di comunicazione, e davanti a questo varco c’è una mezzaluna (ovvero una fortificazione avanzata, sporgente dal recinto) fornita di ulteriore porta. Il fossato, che qui disegna un’ampia curva attorno alla mezzaluna, può essere superato dai difensori con un provvisorio ponte levatoio che si trova davanti alla menzionata porta.




-      La linea difensiva che corre dal complesso conventuale di San Francesco fin giù a Palazzo Toledo si aggrappa sia su opere dell’uomo, costituite dai già esistenti e possenti muraglioni delle Terme di Nettuno e dal palazzo di Geronima Colonna, sia su opere della natura, costituite dalle scoscese pareti del vallone Mandra [9a, 9b].




-      La linea difensiva che corre lungo il perimetro del complesso Toledo, costituito dalla Cavallerizza, dal Palazzo e dalla Torre, è di già fortificato. Fin dall’origine questo complesso di edifici è stato concepito anche ad uso militare; naturale che ora possa contribuire alla difesa e rintuzzare eventuali attacchi provenienti dal largo della Malva (attuale villa comunale) rimasto al di fuori del perimetro fortifico del borgo [10].



-      La linea difensiva del borgo vicereale, che corre dal Palazzo Toledo al mare e confinante anch’essa con la grande piazza della Malva, è stata fortemente rafforzata con cortine, baluardi e tamponatura della maggior parte dei varchi, portoni e finestre [11]. Tutti accorgimenti necessari a respingere un assalto, ritenuto comunque improbabile, che possa provenire dalla piana della Starza e da Lucrino.

 


Tutti lavorarono ai miglioramenti difensivi, comprese le donne, i bambini, i nobiluomini ed i religiosi con a capo il vescovo Martin de Leon nominato Governatore di Pozzuoli direttamente da don Giovanni d’Austria.

Chi è rimasto fuori dai luoghi fortificati si affretta a raggiungerli; si radunano gli averi e le provviste alimentari facendo affidamento sulle cisterne del Rione Terra, e sul ripristinato acquedotto campano, per le riserve idriche.

A guardia di tutto questo perimetro difensivo si trovano cinquecento puteolani, guidati dal giovane patrizio Antonio di Costanzo, e pochi cavalieri spagnoli.

Il caposaldo di Santa Caterina è comandato dal Marchese di Fuscaldo e dal Tenente Maestro di Campo Davide Petagna [12].



L’altra estremità, il caposaldo di San Francesco, è comandato da don Ferrante di Tovara e Antonio Carafa. Cento moschettieri custodiscono palazzo e torre del Principe di Noia e trecento puteolani presidiano il complesso Toledo.

Altri puteolani, ai quali sono stati aggregati dei calabresi, li troviamo a difesa del Rione Terra. Qui, sulla rocca, ci sono poi le batterie, costituite da datati ma pur sempre validi cannoni, affidate a veterani, invalidi e vecchi cannonieri che hanno servito in marina [13].



Gli spagnoli sono appena quarantacinque per lo più dislocati nei menzionati tre piccoli presidi lungo la litoranea via per la pietraia.

Altri sessanta Valloni (mercenari provenienti dai Paesi Bassi spagnoli) sono poi inviati di rinforzo a Pozzuoli dal vicino forte di Baia.

Tutte queste opere hanno il compito, e il fine, di mantenere lontano dal Rione Terra e dal Borgo qualsiasi attaccante e di non lasciare incustodito il numeroso e prezioso naviglio (da guerra, da carico e da pesca) ormeggiato o tirato in secco.

Pochi gli storici nazionali che riportano, e ancora meno quelli che analizzano, questo assalto che presenta interessanti e strategiche soluzioni difensive.

Per la prima volta i puteolani affrontano un assalto in modo ben diverso dai numerosi precedenti subiti in circa 2500 anni di storia cittadina.

La difesa non è più arretrata e limitata al “castrum”, la rocca fortificata.

E’ una difesa avanzata, “alta” diremmo oggi in termini calcistici, con drappelli che inizialmente controllano la pietraia di Monte Olibano, le alture della Solfatara, il valico della Montagna Spaccata.

Queste punte avanzate, al sopraggiungere dei nemici, ripiegano sia verso la linea difensiva alta (Chiesa di Santa Caterina – Palazzo del Marchese di Villa - Chiesa di San Francesco) sia verso la linea difensiva bassa (Palazzo Toledo – Porto); poste entrambe a salvaguardia del borgo. 

La grossa novità, nei confronti dei vecchi assedi, è costituita proprio dalla presenza del borgo i cui numerosi residenti non possono essere accolti nel ristretto Rione Terra, come avveniva in passato.

Nei primi anni del seicento, grazie anche ad un periodo relativamente tranquillo, c’è stato un significativo impulso dell'artigianato e del piccolo commercio con la ripresa del mercato cittadino, scambi sempre più intensi coi paesi vicini ed un naturale aumento di nuovi mestieri richiesti per attività prima impensabili; di conseguenza a queste nuove esigenze ha corrisposto un incremento demografico del borgo [14].



Pertanto il ricco sobborgo andrà ora difeso a tutti i costi unitamente alle banchine tanto necessarie alla pesca ed agli scambi economici cittadini, oltre che alla strategia militare spagnola.

Per tutto questo è stata creata questa nuova linea difensiva esterna che però non è molto lontana dalla rocca le cui batterie, oltre che essere poste sulla Piazza chiamata il Castello (per la difesa lato mare), sono poste anche sui bastioni orientali nel largo della Porta Reale (attuale piazza Sedile di Porta). Sono proprio queste le batterie di cannoni che mantengono sotto tiro gli attacchi provenienti dalla direttrice Anfiteatro – Villa Cardito.

Si ha notizia di soli altri due cannoni, esterni al perimetro del Rione Terra, piazzati sulle parti alte del complesso Toledo ed in grado di battere il settore relativo al convento di San Francesco che sembra sia stato momentaneamente conquistato dai popolani rivoluzionari.

Si combatte dalle undici del mattino sino al tramonto del sole ed i napoletani ne guadagnano solo ferite e morti. I puteolani combattono con ostinato valore e con molto ardore vi partecipano pure numerosi chierici e sacerdoti che impugnano le armi seguendo l’incitamento del loro pastore.

Il vescovo De Leon corre da per tutto portando il suo valido contributo e provvedendo a ciò che abbisogna; munizioni, vettovaglie, messaggi.

Non sono assenti le donne che, con le scarse armi che han potuto procurarsi, combattono e assistono i combattenti nei punti dove la mischia è più feroce.

Tra queste donne guerriere, degne discendenti di Maria Puteolana, c’è né una che è stata eletta loro Capitana. In seguito si vanterà coraggiosamente, dinanzi al vicerè conte d’Ognatte, d’aver condotto in battaglia la “Compagnia delle pozzolane” che hanno combattuto e sempre combatteranno per la difesa del dominio del Re di Spagna.

Purtroppo resta ignoto il nome di questa “piezz' ‘e puzzulane”, anche se il suo aspetto non dovrebbe molto discostarsi dalla Giuditta, e dalla sua ancella, divinamente ritratte da Artemisia Gentileschi in quello stesso periodo [15].



Neppure ci sono stati tramandati i nomi di tantissimi fanciulli che sono costretti a combattere, come faranno gli scugnizzi della resistenza, facendo uso di fionde e sassi.

La giornata del 19 gennaio 1648, che vede combattere fianco a fianco, sulle stesse barricate, nobili, plebei, sacerdoti, commercianti, pescatori, contadini, uomini, donne e bambini, mariti e moglie, padri e figli, esalta gli animi e quadruplica le forze di questi combattenti.

I puteolani tutti condividono ora comuni ideali e l’atmosfera e la solidarietà che viene a crearsi sopperisce alle fatiche ed ai dolori.

Il pozzolano, ed è bene non dimenticarlo, si è trasformato in combattente e si è barricato dietro tutto; dietro la ricchezza e dietro la miseria, dietro le cose sacre e quelle profane; dietro cataste di carri e di legno, confessionali e botti, poi materassi, letti e cenci.

Tra le armi abbondano le fiocine dei pescatori e i forconi degli agricoltori, i coltellacci dei buccieri (macellai) e le asce dei falegnami.  

 Nel contempo c’è speranza e condivisione e il tutto per anni resterà, nell’immaginario pubblico, un evento epico da tramandare ai figli ed ai figli dei figli unitamente al ringraziamento ricevuto dal Sovrano.

A Pozzuoli resta, quale regalo dell’epoca, il detto volgare “spara Santillo” che significa: “sbrigati, fai presto”.

Raimondo Annecchino ritiene che esso tragga origine dal nome dell’artigliere Santolo, o Santillo, che in occasione di questo assedio sparò senza tregua sui napoletani.

 Il vescovo, con cristiana pietà, frena l’ardore dei puteolani e ordina loro sia di non infierire sia di stare alla difesa; ovvero di non inseguire i napoletani in campo aperto, per timore di imboscate. I popolani, che più non osano venire avanti allo scoperto, restano asserragliati nei non lontani palazzi che volutamente son rimasti abbandonati fuori dalla cerchia difensiva: Chiesa di San Giacomo, Villa Cardito, Composta, l’Anfiteatro ed altri ancora ubicati non lontani dal fossato puteolano.

Nei giorni seguenti continuano a molestare i puteolani, sempre con l’ingannevole intento di far loro abbandonare le sicure opere difensive, e di tanto in tanto avvengono scorrerie e sanguinose scaramucce con la distruzione di poderi e masserie, presi dall’una e dall’altra parte.

Poi col passare del tempo, non essendo attrezzati e abituati a un assedio e pressati dai villici di Fuorigrotta (stanchi di queste scorrerie e solidali con i puteolani e il loro stesso vescovo), i ribelli napoletani sono costretti a desistere ritornando definitivamente oltre la cripta romana che taglia la collina di Posillipo.

 Pozzuoli è salva e non sarà più oggetto di attacchi bellici, e questo grazie anche al suo Vescovo che compiendo il suo dovere di Prelato trattiene la città fedele alla Spagna, sua Patria di origine [16].



Sprezzante dei pericoli e dei disagi, dirige le battaglie; il carico delle vettovaglie dirette a Napoli; fa recapitare avvisi importati che da Roma o da Madrid gli capitano; soccorre con i suoi beni personali i poveri bisognosi della città e i soldati.

Spendendo tutto questo resta poverissimo e, una volta riconquistato definitivamente il regno, il Re Filippo IV, grato, gli invia una lettera di ringraziamenti e nel 1650, per vantaggio economico, lo crea Arcivescovo di Palermo, prelatura nobilissima di ricca rendita. Nel 1651 gli è conferito pure l’ufficio di Presidente del Regno di Sicilia, ovvero vicario del Viceré. 

Lo stesso Re Filippo IV, nel luglio del 1648, per la dimostrata lealtà alla corona di Spagna, conferisce ai puteolani il diritto di decorare lo stemma cittadino col titolo di “FIDELISSIMA”, da affiancare a quello di “CIVITAS” che fregia Pozzuoli fin dal 1296 [17].

 


 Referenze

Annecchino R. – Storia di Pozzuoli

Capecelatro F. – Diario degli anni 1647-1650

Giamminelli R.  – Articoli e opere varie

Ronga N. – La rivolta di Masaniello ad Aversa

 

 GIUSEPPE PELUSO – LUGLIO 2021


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