domenica 22 settembre 2019

Giuditta Levato


Il Sacrificio di Giuditta Levato

Lo stendardo con la sua immagine sfila nel Cantiere Ansaldo, Santuario del proletariato meridionale, e per la città di Pozzuoli

La contadina Giuditta Levato, nata a Calabricata in provincia di Catanzaro il 18 agosto del 1915, è la prima vittima negli scontri del 1946 in Calabria, verificatisi a seguito della lotta al latifondo.
Giuditta fin da bambina divide la sua esistenza tra il lavoro nei campi e le faccende domestiche; una volta sposata, e quando suo marito parte per la guerra, è costretta a vestire i panni del capo famiglia. Non si tira indietro alla fatica, coltiva la terra, raccoglie il grano e dà il pane ai propri figli.
La “Legge Gullo” del 1944, dal nome dell’allora Ministro dell’Agricoltura, ha decretato l'assegnazione di alcune terre di vari latifondi ai contadini che, riuniti in cooperative, le coltivavano. Il provvedimento è ostacolato dagli agrari calabresi, che vedono nei contadini, nuovi proprietari, degli usurpatori; questa situazione causa diversi scontri violenti.
Il 28 novembre del 1946 Giuditta Levato si unisce a un gruppo di persone che affronta Pietro Mazza, latifondista del luogo; la contesa è causata da una mandria di buoi che il Mazza ha lasciato pascolare nei campi assegnati ai contadini, impedendone quindi la coltivazione.
Durante la protesta, in circostanze mai del tutto chiarite, dal fucile di un uomo al servizio del Mazza parte un colpo che raggiunge la contadina all'addome [1 - Foto Corriere della Calabria]. 
Giuditta è trasportata prima a casa e subito dopo in ospedale, ma inutilmente; muore all'età di 31 anni, mentre è incinta di sette mesi del suo terzo figlio.
La grave vicenda è taciuta dagli ufficiali organi d’informazione, i quotidiani non ne danno notizia. Guardando nelle cronache, sotto quella data e nei giorni seguenti, vi si trova da leggere di un imminente incontro calcistico Italia-Austria, del processo contro von Mackensen, della condanna degli assassini di Villarbasse confermata dalla Cassazione e del Prestito Redimibile.
Dell'episodio sanguinoso nulla, solo una notizia pubblicata a distanza di due giorni può essere messa in relazione con quanto è accaduto. De Gasperi, riuniti al Viminale una trentina di prefetti e tra questi quello di Catanzaro, ha ad essi raccomandato di far sempre opera di mediazione nell’evenienza di conflitti sociali. Essi non devono però esagerare perché altrimenti a furia di mediare rendono più tenue il prestigio dell'autorità statale.
Si capisce che la vita di Giuditta Levato, una donna morta durante una agitazione comunista, non ha niente a che vedere con il prestigio dello Stato e non è il caso di parlare dell'episodio che, seppur luttuoso, giova ad una sola parte dello schieramento politico.

A livello istituzionale, nazionale e locale, Giuditta riceverà i giusti riconoscimenti solo mezzo secolo dopo; a lei saranno intitolate, sempre in Calabria, strade, sale regionali e museali, ballate e libri [2].

Nell’immediato dopoguerra l’episodio di Giuditta resta isolato ai soli compaesani che iniziano a santificarla ritraendola, coi figli, in una immagine stampata su carta lucida, come si usa per i santini che i parroci regalano ai bambini [3].

Il fatto nuovo è che, non esistendo nel meridione solide tradizioni socialiste, le forze politiche di sinistra mettono a frutto questa vicenda; in questo si segue il consiglio di Giorgio Amendola che, in un precedente congresso, concettualmente, dice: «Poiché in Italia meridionale c'è un diffuso fanatismo religioso, noi marxisti dobbiamo farne conto, anzi cercare di cavarne profitto.»
Pertanto, in vista delle elezioni politiche del 1948, il Fronte Popolare stampa una immaginetta di propaganda, a beneficio dei contadini, che, oltre a riprendere sul fronte la foto di Giuditta con i suoi due figli, riporta sul verso un paragrafo che, per l'ispirazione e la stessa disposizione delle parole, è come una preghiera:

«Il piombo degli agrari ha stroncato la tua vita di madre e di sposa, nel giorno in cui guidavi le donne del tuo paese all’occupazione della terra che, da secoli incolta, volevate lavorare.
Tu sei caduta perché i tuoi figli abbiano pane, perché tuo marito sia un libero cittadino e non uno schiavo umiliato ed oppresso, perché i contadini abbiano terra e lavoro, e tutto il popolo si liberi dalla servitù e dalla fame.»
Tu sei caduta per loro
Tu sei caduta per tutti
Nel tuo nome noi donne italiane, ci impegniamo a continuare unite la lotta per una vita di pace, e giustizia, lavoro, libertà; ideali per cui tu, Giuditta Levato, offristi la vita.
Nel tuo nome, noi, donne italiane, ci impegniamo a Votare
FRONTE DEMOCRATICO POPOLARE

Questa litania di derivazione liturgica si spiega facilmente col fanatismo religioso dei paesi meridionali dove la pagana familiarità coi santi è cosi viva che con essi si tratta, si discorre, si litiga; concetto ben miniato nella famosa scenetta di Troisi, e del suo trio, davanti alla statua di San Gennaro.
Un santo è detronizzato ed un altro innalzato in vece sua quando il vecchio patrono non soddisfa più; e in casi eccezionali, se la fantasia del popolo è colpita fortemente da un fatto straordinario, come la morte di una brava donna come Giuditta, vendicatrice dei poveri, un santo lo si inventa addirittura.

Giuditta è anche raffigurata su di uno stendardo, come quelli che si vedono precedere le confraternite nelle processioni, normale episodio di folklore per il Meridione, e questo stendardo, che apre le sfilate, è presente a tutte le manifestazioni politiche e di lotta sociale organizzate dalle sezioni comuniste nella provincia di Catanzaro.
In un'unica occasione questo stendardo travalica i confini provinciali, anzi quelli regionali calabresi, e si reca a sfilare in altra città; questa città è Pozzuoli.

L’occasione è data da uno dei tre grandi congressi preliminari indetti dai partiti politici di sinistra in vista dell’Assemblea Costitutiva del Fronte Popolare sotto la cui sigla le loro forze intendono presentarsi unite alle elezioni politiche del 1948.
Il Congresso Democratico del Mezzogiorno si tiene a Pozzuoli il 19 di­cembre 1947, in un capannone dei Cantieri ex “Ansaldo Artiglierie”, appena rinominati ”Stabilimenti Meccanici di Pozzuoli” [4].

Alle popolazioni meridionali è lanciato un manifesto con l’indicazione degli obiettivi da conseguire, contro ogni lusinga paternalistica, dando una concreta organizzazione alle forze popolari e prevedendo l’assegnazione delle terre mal coltivate alle cooperative di contadini e la proroga dei contratti agrari.
Il Congresso di Pozzuoli vuole dimostrare all’Italia tutta un volto e una dignità nuova del popolo; non più solo miserie e lacrime, ma operai che dalle miserie, dai lutti e dalle distruzioni hanno ricostruito macchine e officine; braccianti e con­tadini che, contro le forze ostili della natura e dei padroni, hanno fecondato terre incolte; intellettuali che si sono legati al popolo e col popolo vogliono combattere la battaglia del Mezzogiorno.
Attorno al problema della terra, a quello della difesa e del potenziamento delle industrie del Mezzogiorno, attorno ai problemi della vita economica, scolastica, igienica, il Con­gresso di Pozzuoli chiama tutti i democratici del Mezzogiorno ad un’azione unitaria e concreta.
Il Congresso si presenta come la più imponente rassegna di forze meridionali fin qui tenutasi; operai, tecnici, contadini, partigiani, politici e personalità della cultura. Tra i primi arrivano le delegazioni di contadine di Bologna e di Torino; un gruppo di partigiani da Modena, con fazzolettoni rossi al collo; una lunga autocolonna di solidarietà, carica di doni, partita il mercoledì da Milano. I dipendenti della Breda hanno inviato aratri, zappe e vanghe; quelli della Motta panettoni per i bambini poveri; la Isotta Fraschini invia millesettecento chili di riso; la Moto Meccanica un martello pneumatico; la Sefar venticinque apparecchi radio; la Filotecnica cento termometri; scatolame dalla Franco Tosi; duecento quintali di concime dalla Commissione Interna delle Industrie di Terni, destinati alle cooperative agricole del Mezzogiorno; due milioni di lire dalle sottoscrizioni, sempre a favore delle popolazioni meridionali.
Centinaia e centinaia di lettere e telegrammi da Enti, Partiti, Organizzazioni, Sindaci; rappresentanti del Sindacato Direttivo Universitario Nazionale; una Delegazione di ragazze romane di tutte le categorie sociali; una Delegazione giovanile iugoslava.
Tutti gli operari degli stabilimenti Ansaldo di Pozzuoli hanno lavorato per addobbare la grande sala che ospita il congresso e tutta la città si è prodigata per preparare l’alloggio ai partecipanti dopo aver tappezzato le strade di striscioni di benvenuto. Sono infatti 7.000 i delegati di tutte le regioni meridionali che partecipano a questa solenne e grandiosa rassegna dove pongono in una prospettiva nazionale la questione del riscatto del Mezzogiorno.

La mattina del giorno 19, quando è ancora buio, i primi delegati infreddoliti da una notte in treno o in camion, col pane avvolto in un fazzoletto, bussano alla porta dell'Ansaldo. Alle otto la lunga sala del congresso è piena di canti dei braccianti siciliani, pugliesi e calabresi, delle tabacchine di Lecce, delle mondine di Bologna, degli operai di Taranto, di Milano e di Torino. Venuti questi ultimi dalle città del nord a portare di persona alla seduta la solidarietà ed il sostegno delle loro popolazioni.
Alle nove il grande palco della presidenza si affolla; sono presenti i comunisti Giorgio Amendola, Girolamo Li Causi, Velio Spano, Emilio Sereni, ecc..; i socialisti Luigi Cacciatore, Francesco Cerabona, Luigi Renato Sansone, Luigi Longo; ecc..
Presenti sono anche tutti i membri del Comitato di Iniziativa e del Comitato Esecutivo del Congresso tra cui Mario Alicata, Corrado Alvaro, Francesco De Martino, Carlo Muscetta, Giorgio Napolitano (appena laureato), Gabriele Pepe, Manlio Rossi Doria.
A Pozzuoli il locale comitato organizzatore è composto da Domenico Conte, Ilio Daniele, Angelo Di Roberto, Enrico Vellinati, Nicola Fasano, Giovanni Marino, Ciro Musto e un giovanissimo Umberto Lucignano [5].

Ci sono poi il prof. Floriano Del Secolo, vecchio maestro del giornalismo democratico meridionale, e i rappresentanti del mondo della cultura, tra i quali Renato Guttuso, Carlo Levi, Alfonso Gatto, Francesco Jovine.
Poco dopo, accolti da una grande manifestazione di entusiasmo, arrivano Lelio Basso, Giuseppe di Vittorio, Rodolfo Morandi, Fausto Gullo, Giacomo Mancini. E poi Vera Lombardi, Franco Castaldi, Tommaso Fiore, ecc…
Il primo a prendere la parola, a nome del comitato di iniziativa, è Floriano Del Secolo che pronuncia un breve discorso di saluto a tutti i congressisti; tra l’altro dice: «I contadini della Basilicata ed i braccianti della Puglia e della Sicilia non si sono mossi per venire ad ascoltare promesse di un governo distaccato dalle masse, o impegni di ceti dominanti, ma per misurare la propria forza ed in nome di questa operare perché si inizi una grande battaglia di rinnovamento del Mezzogiorno.»
Inizia poi il dibattito e la prima relazione al Congresso è pronunciata da Emilio Sereni il quale dice: «Se politica significa, come significa, lotta di popolo per realizzare le sue aspirazioni, questo è un Congresso politico. Il primo che il popolo del Mezzogiorno ricorda e dal quale partirà un movimento politico che trasformi la faccia del Mezzogiorno.»
Lo stesso spirito è nelle parole di Luigi Cacciatore, che pronuncia la seconda relazione; Giuseppe Di Vittorio porta il saluto e la solidarietà della C.G.I.L.; Girolamo Li Causi, di Termini Imerese, nel suo discorso sottolinea la portata che dovrà assumere per la Sicilia il grande “Congresso dei Lavoratori della Terra” convocato a Palermo per i primi di gennaio. Un particolare significato ha l'intervento del prof. Tommaso Fiore, vecchio combattente meridionalista e affezionato amico di Guido Dorso la cui vedova ha telegrafato augurando il pieno successo della manifestazione. Con uguale affetto sono accolte le parole di Francesco lovine che porta l'adesione degli scrittori e degli intellettuali che si schierano a fianco del popolo meridionale.
Grandi manifestazioni di entusiasmo salutano Luigi Longo quando sale alla tribuna per portare il saluto caloroso e l’adesione più piena del Partito Comunista e gli abbracci particolarmente vigorosi dei combattenti della libertà. Dopo di lui Lelio Basso porta il saluto e l'adesione del Partito Socialista. Si succedono quindi alla tribuna i delegati di tutte le regioni del Mezzogiorno e del Nord, tutti animati dallo stesso spirito di unità e di lotta.
Alla conclusione il Congresso dà mandato al Comitato d’Iniziativa di organizzare un “Fronte per il Mezzogiorno” al quale aderiscono non solo i partiti della sinistra, ma anche repubblicani e azionisti. Predispone liste unitarie in vista delle successive elezioni politiche del 18 aprile 1948, impone una mobilitazione generale e fa più forte il quadro delle rivendicazioni, in particolare quelle relative alla distribuzione delle terre, alle bonifiche, alla riforma dei contratti agrari, alla difesa dell’industria nell’Italia meridionale, all’assistenza creditizia delle piccole aziende.

Proprio in questa assise, ospitata nel grande cantiere che rappresenta il tempio del proletariato meridionale e che pone tra i principali obiettivi la ridistribuzione delle terre del Mezzogiorno, non può mancare il ricordo e l’esempio di Giuditta Levato; una donna che con il sacrificio della sua vita, e della creatura che porta in grembo, è stata protagonista del suo tempo.
Un omaggio a tutte le donne calabresi abituate a lavorare sodo e spesso in silenzio, ma soprattutto un omaggio a tutte le donne che, pur non avendo molta visibilità perché occupate nel loro lavoro quotidiano, sono uno dei pilastri fondamentali della società e che, al momento giusto, sanno sfoderare grinta e determinazione diventando protagoniste del loro destino.
Lo Stendardo che raffigura Giuditta [6] è portato al Convegno di Pozzuoli dalle braccianti di Calabricata e a un certo momento, nel traversare la grandissima sala dei Cantieri Ansaldo, sovrasta gli ammutoliti settemila congressisti lì riuniti.

Lo seguono alcune contadine calabresi in vesti nere; neri i volti chiusi nei pesanti scialli, anche loro neri, annodati sotto il mento.
Bianco e frangiato d’oro è invece lo stendardo e al centro, in una corona di spighe legate da un nastrino tricolore, è dipinto il ritratto di Giuditta, più melanconico che nella immaginetta, a mezzo busto, in camicetta color lavanda e giacchetta marrone, una catenina al collo con appesa una medaglietta della Madonna.
Il solo errore commesso dagli organizzatori, capace di distogliere dai pensieri religiosi, è quello di far reggere lo stendardo da due giovani donne modenesi, molto belle, che la segreteria del congresso ha stimato più decorativo e pertanto più adatte alla funzione d’onore. Sono floride ragazze comuniste in uniforme di partigiane, decorate e graduate.
Dopo le ore 18.00, quando l’assise è sciolta, tutti i delegati sfilano per le strade di Pozzuoli [7] accompagnati dal saluto della popolazione scesa nelle strade. 

Passano i rappresentanti delle Camere di Lavoro provinciali e comunali, dei Consigli di Gestione, dei Sindacati e Commissioni Interne di fabbrica, delle Amministrazioni Comunali, delle Deputazioni Provinciali, delle Associazioni dei Combattenti e dei reduci, dell’Associazione dei Mutilati e Invalidi, dei Sinistrati e dei Perseguitati Politici  Antifascisti, delle Vedove di Guerra, degli Ordini Professionali dei Medici degli Ingegneri e Avvocati, delle Associazioni Universitarie delle Leghe Contadine e delle Cooperative Agricole. Con queste ultime sfila lo stendardo di Giuditta Levato, sorretto dalle due giovani partigiane e seguito dalle donne nere calabresi che formano un gruppo composto e disperatamente rassegnato.


REFERENZE
Daniela Alemanno – La contadina calabrese che morì per tutti – 2015
Giuseppe Peluso – Il Congresso Democratico del Mezzogiorno - 2012
Romano Pitaro - Quando uccisero Giuditta Levato - 2007
Vittorio Gorresio – Dove non esistono tradizioni socialiste - 1948


GIUSEPPE PELUSO – SETTEMBRE 2019

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