domenica 14 luglio 2019

Ammiraglio Eugenio Minisini


EUGENIO MINISINI E IL SILURIFICIO DI BAIA.
Tra Realtà, Fantasia , Sabotaggi, Agenti Segreti, Fughe e Film

Nel 1935 il “Silurificio Italiano SpA”, con stabilimento a Napoli in via Emanuele Gianturco e poligono di prova (siluripedio) sull’isolotto di San Martino, si trasferisce a Baia nei locali del fallito cantiere navale “Società Cantieri ed Officine Meridionali” [1].

Riprende così il travagliato cammino di questo silurificio che ha vissuto un periodo difficile fra inadempienze, manomissioni e lamentele dei committenti esteri e nazionali. Problematiche che, nel 1933, hanno portato al rilevamento della società da parte dell’I.R.I. (Istituto Ricostruzione Industriale) con conseguente cambio dei vertici che ha visto la sostituzione del trio Bianchini – Raffaelli - D’Agostino con la coppia Gorleri - Minisini.

Eugenio Minisini nasce ad Ospedaletto di Gemona il 19 novembre 1878. Il padre Francesco, farmacista, appartiene ad una facoltosa famiglia locale, la madre, Eugenia Fremont, è originaria di Fiume. A 15 anni entra nell’Accademia Navale di Livorno, uscendone guardiamarina nel 1898. Con la nave “Elba” opera nell’Estremo Oriente, per ben tre anni, dove è decorato con l’Ordine di San Stanislao dallo zar per aver partecipato con le truppe russe alla spedizione italiana al Pe-chili (golfo a NW del mar Giallo in Cina). Rientrato in patria, imbarca prima sulla nave “Affondatore”, poi sulla “Regina Margherita” ed infine sul primo sommergibile italiano, il “Delfino”, ove mette in mostra il suo talento e la sua ingegnosità sull’ideazione di apparecchiature importanti per quel battello.
Creativo, fantasioso, eclettico, Minisini si congeda nel 1907 e lascia la Marina, forse perché appassionato della ricerca ed il servizio militare non gli permette di sviluppare appieno la sua inventiva, tant’è che frequenta corsi, in Italia e all’estero, addirittura sui motori della nascente aeronautica. Egli trova utili impieghi anche in Francia e in Gran Bretagna.
Nel 1914, all’approssimarsi della “Grande Guerra”, è richiamato in servizio e nel periodo bellico è assegnato nella zona costiera tra l’Isonzo ed il Piave. Per meriti di guerra viene promosso capitano di corvetta e prosegue quindi la sua carriera nella Regia Marina. Da allora questa forza armata gli permette di sviluppare le sue eccezionali doti intellettive, per cui diviene responsabile nell’arsenale di Venezia della “Commissione Permanente” per gli esperimenti del materiale bellico.
In Marina viene ricordato per la sua attività nel campo delle applicazioni elettriche, elettroacustiche e in quelle della chimica di guerra. Progetta e realizza impianti di artiglieria navale, in particolare rammoderna il vecchio impianto binato navale ed anti aereo a culla unica, su affusto a piattaforma, derivato dallo Skoda mod.1910. Dopo le modifiche questo risulta dotato di un affusto a ginocchiello, variabile automaticamente in funzione dell'elevazione, e viene ora definito cannone 100/47 OTO mod.1928 “Affusto Minisini”.
Diventa famoso quale ideatore delle tenaglie di trasporto e di lancio di siluri applicate sui “M.A.S.” italiani; un apparato che sarà giustamente ricordato come “Sistema Minisini”. Questi lanciasiluri, ad impulso laterale, sono di tipo pneumatico ed hanno la caratteristica di essere molto semplici e leggeri e quindi specificamente adatti per l'impiego sulle piccole siluranti, permettendo di raddoppiare i punti di tiro senza ricorrere ai pesanti ed ingombranti tubi di lancio. Particolarità questa in comune solamente con le “Pt Boats” americane su cui nel 1943-1944 è introdotta un'arma chiaramente derivata dalla pratica ed efficiente apparecchiatura italiana [2].

Eugenio Minisini, che in Marina ha raggiunto il grado di ammiraglio di divisione delle Armi Navali, dalla metà dell’anno 1934 resta praticamente solo al vertice del silurificio. Egli è anche membro del Comitato Tecnico per lo studio dei problemi della siderurgia bellica; speciale ente creato nell’estate del 1934 per suggerire proposte di sistemazione di questo importante settore. Inoltre ricopre la carica di Direttore Generale dell’I.R.I.; per tutte queste attività gli è conferita l’onorificenza di Cavaliere del Lavoro nel settore industriale, mai prima assegnata ad un ufficiale in servizio.

A Baia i lavori di adattamento procedono lentamente sotto la direzione dell'ing. Raffaelli tanto che il trasferimento che si prevede per il 1938 è completato solo nel 1939 quando finalmente ha inizio la produzione di siluri.
Nello stesso 1939 l’Azienda incarica una ditta di Bacoli ad iniziare i lavori, che terminano alla fine dell'anno successivo, affinché l’isolotto di San Martino sia collegato alla terraferma mediante un suggestivo pontile a palafitte ed uno stretto tunnel lungo 1.150 metri che in località Cappella si riconnette alla viabilità stradale [3a/3b].


In origine il collegamento fra gli impianti pensato da Minisini contempla una funivia, così come si evince da un suo promemoria del 17 maggio 1935 intitolato "Riorganizzazione del Silurificio Italiano". Probabilmente Minisini pensa a questa soluzione osservando alcune funivie che esistono nelle vicine cave di pozzolana, ma il progetto non è realizzato perché questa funivia avrebbe dovuto superare ben due dislivelli rappresentati dal Parco Monumentale di Baia e dal promontorio di Monte di Procida.
Il Podestà di questo comune chiede che la costruendo galleria sia adeguata a permettere il passaggio di autocarri e sia fornita di un binario ferroviario ad eventuale uso del vicino porto di Acquamorta raggiungibile, allora come oggi, da una inadatta e scoscesa strada caratterizzata da molti tornanti. Questa aspirazione non viene accolta e la galleria risulterà a malapena adatta al transito di automobili.

Nel contempo anche sull’isolotto è scavata una galleria di 250 metri che permette un agevole collegamento tra la parte iniziale dell’isola, in cui arriva il ponte di calcestruzzo ed in cui ci sono gli edifici di ricezione, con l’altra estremità dove sono ubicati i locali più riservati con relativo pontile di lancio [4a/4b].


Locali sono ricavati anche sotto la collinetta, all'interno del tunnel, dove c’è il reparto dei compressori che caricano l’aria indispensabile al lancio dei siluri. Gli edifici costruiti nella parte superiore dello scoglio sono utilizzati come torre telemetrica e posti di controllo durante i lanci di prova.

Dato l'abbondare delle commesse l'ammiraglio Minisini pensa ad una collaborazione con la “Navalmeccanica”, controllata sempre dall'I.R.I., per la costruzione dei lanciasiluri e anche per quelle parti di siluro già affidate ad altre ditte; inoltre propone all'azienda collaboratrice l'utilizzazione del macchinario e delle maestranze di via Gianturco. Poiché la collaborazione procede con difficoltà Minisini pondera di adibire un capannone del nuovo impianto di Baia alla costruzione di lanciasiluri e di varia meccanica da attivare nel caso di rottura degli accordi con la Navalmeccanica. Questo progetto è osteggiato dall'I.R.I. che lo ritiene un oneroso doppione che, mentre toglie alla Navalmeccanica un campo di lavoro su cui essa conta, costituirebbe per il silurificio un'attività disperditrice di mezzi e di energie.

Nel corso della seconda guerra mondiale le esigenze belliche impongono di aumentare la produzione per la continua assegnazione di commesse; pertanto la direzione del silurificio decide di realizzare un nuovo impianto nella vicina zona pianeggiante del Fusaro [5].  

I lavori terminano verso la metà del 1943 ed il nuovo stabilimento viene collegato a quello di Baia mediante una galleria lunga 1.300 metri. Questa con un percorso rettilineo sbuca nella parte retrostante di quella che sarò la Selenia. In merito a questi lavori, che per abbreviare i tempi si avvalgono di cavamonti del posto tra i più esperti allora esistenti nelle cave di tufo, c’è una fitta corrispondenza tra il silurificio, il comune e la Soprintendenza Archeologica (diretta da Amedeo Maiuri) che ha forti perplessità perché i lavori interessano aree di alto valore storico - archeologico come il Parco Monumentale di Baia. Dal cantiere di Baia, e precisamente dall'area attualmente occupata dal parcheggio antistante l'IRSVEM, esce un binario, a scartamento ridotto che attraversa il tunnel e termina nel cantiere del Fusaro [6].

Da qui a San Martino c'è un altro tratto riservato che porta a Cappella, alla già menzionata galleria ed al susseguente pontile; in questo modo i tre impianti vanno a costituire un unico complesso. Inoltre lo stabilimento del Fusaro viene allacciato ai binari della vicina Ferrovia Cumana a mezzo della quale risulta praticamente collegato alla rete nazionale.
A Baia continuano le prove alla vasca oltre al montaggio di alcune parti dell'arma. Al Fusaro vengono trasferite le lavorazioni meccaniche e la fonderia. Secondo alcune fonti in piena guerra il silurificio arriva ad impiegare 4.674 dipendenti; secondo Simon Pocok i dipendenti diretti arrivano a 5.100 unità più altri 2.000 nello indotto [7].

All’età di 62 anni, il 1° maggio 1940, il Minisini va in pensione, tuttavia proprio in quel periodo, siamo all’inizio del secondo conflitto, il Capo di Stato Maggiore della Marina dà una incisiva svolta ad ogni genere di ricerca tra cui il rivoluzionario programma sviluppato dal nostro ammiraglio sui sommergibili d’assalto. Un interessante progetto coperto dal massimo segreto e portato avanti all’interno del silurificio di Baia che pertanto Minisini dovrà continuare a presiedere per ordini superiori.
Praticamente l’ammiraglio continua un piano di lavoro derivato dall’iniziale studio, per un sottomarino tascabile, effettuato da Pericle Ferretti negli anni ‘30.
Ferretti, già inventore di un dispositivo da lui contraddistinto dalla sigla “ML” (iniziali del nome della moglie Maria Luisa) precursore di quello che poi sarebbe stato lo “schnorchel”, sta pensando non più ad un sommergibile ma ad un sottomarino. Ovvero ad un battello che a mezzo del suo dispositivo “ML” non abbia più bisogno di affiorare per il ricambio d’aria ed inoltre, a mezzo di un particolare e modificato motore Isotta Fraschini Asso 100 detto a “circuito chiuso”, non abbia necessità di scaricare i gas nell’atmosfera rimettendoli in ricircolo. Questo motore, unico per la navigazione sia in superficie che in immersione, è alimentato ad alcol ed imprime il movimento ad una coppia di eliche controrotanti sistemate a prua. La velocità prevista in immersione è di circa 15 nodi, contro i 5/6 nodi qualsiasi altro sommergibile, mentre l’autonomia è pari a 8/10 ore. Le prove a terra nel 1936 dimostrano l’impossibilità di raggiungere grandi potenze con questo sistema che ne riduce l’utilizzazione a battelli di piccole dimensioni e quindi di limitato valore strategico.
Da questa limitazione nasce l’idea di Minisini di un piccolo sottomarino d’assalto. Questo, costruito in acciaio, è lungo 13 metri e pesa circa 13 tonnellate; l’armamento è costituito da un siluro esterno da 450 mm appeso sotto la chiglia. A Baia sono costruiti sicuramente due prototipi; il primo S.A.1 (Sommergibile d’Assalto 1) viene impostato nel 1941, completato nel 1942 e chiamato “Sandokan” dalle maestranze; il secondo S.A.2 viene impostato qualche mese dopo, chiamato “Yanez”, e presenta lieve differenze e miglioramenti tra cui l’armamento aumentato a due siluri.
I due nomi “esotici” sono dati dalle maestranze influenzate dal film “I Pirati della Malesia” uscito proprio nel 1941 [8].

I battelli sono dotati di uno scafo resistente di forma cilindrica con terminali conici molto raccordati e la navigazione in immersione, alla quota massima di 25 metri, è assicurata dinamicamente dai timoni di profondità. Lo scafo ha una poppa affilata e a punta poiché si pensa di metterlo in mare di poppa, a breve distanza dall’obiettivo, facendolo scivolare da una apposita slitta posta a poppa di un cacciatorpediniere. Le prove a mare, svolte in gran segreto nel tratto di mare tra Procida e le isole Pontine, danno buoni risultati, ma il vero ostacolo all’impiego immediato di questo mezzo rivoluzionario è la complessità e delicatezza dell’apparato motore e della sua conduzione.
Così nel 1942 come ulteriore perfezionamento Ferretti sperimenta con successo, al banco dell’Istituto dei Motori di Roma, un nuovo motore che questa volta è un Diesel, probabilmente un O.M. a due tempi, la cui miscela comburente è costituita, oltre al gasolio, da una base di ossigeno allo stato liquido che successivamente è diluita nell’elio che è un gas neutro. I gas di scarico usati per diluire l’ossigeno liquido vengono direttamente espulsi in mare, mentre il loro residui, arricchiti di ossigeno, vengono iniettati nei cilindri.
Si crede (?) che questo motore sia applicato ad un nuovo sottomarino impostato anch’esso in un reparto isolato e segreto del silurificio di Baia. Questo prototipo riceve la sigla S.A.3 e sembra che dalle maestranze sia chiamato “Kammamurì”; altro personaggio di Salgari, un ragazzino indiano, il cui nome (con un semplice spostamento di accento) ben si presta alla espressione dialettale “Qua dobbiamo morire”.
Esso è realizzato modificando il progetto S.A.2, in particolare la parte poppiera dello scafo non resistente, che è del tipo a “castoro“ con il timone di profondità incorporato, e sormontata da una coppia di timoni direzionali. I due tubi lanciasiluri da 450 mm, con lancio verso poppa, sono all’interno dello scafo non resistente. Il sottomarino S.A.3 è accreditato di una velocità subacquea di oltre 20 nodi, ma Ferretti si propone di poter raggiungere i 25 nodi con un motore esotermico a turbina.
Incerta e aleatoria resta l’affascinante ipotesi della sua costruzione, o almeno del suo parziale completamento e della sua fine misteriosa.
Secondo alcune fonti lo S.A.3 parte alle 19.30 dell’8 settembre da Baia per l’ultimo collaudo a bordo del pontone “G.I.S.7”, accuratamente coperto con reti mimetiche. Lo stabilimento è ormai chiuso, ma a bordo, come d’altronde in tutta l’Italia, nessuno sa ancora della proclamazione dell’armistizio. Si afferma che il misterioso danneggiamento di un incrociatore americano nel Golfo di Salerno, avvenuto nella notte tra l’8 ed il 9 settembre del ’43, più volte attribuito a bombe teleguidate tedesche, ad aerosiluranti o al sommergibile italiano “Vellela“, successivamente affondato presso “Punta Licosa”, potrebbe essere in realtà attribuito al piccolo S.A.3.
Questo, non ancora consegnato ufficialmente alla Regia Marina ma in collaudo operativo di accettazione con equipaggio militare, si sarebbe inoltrato tra il naviglio alleato impegnato nello sbarco a Salerno ed avrebbe effettuato il lancio.
Proprio l’esistenza o meno di quest’ultimo battello è accennata o negata da Minisini a varie riprese negli interrogatori cui viene sottoposto dagli agenti americani. L’ammiraglio parla delle caratteristiche dello S.A.3, di cui poi non si trova traccia; pertanto in alternativa indica il secondo prototipo, lo S.A.2, che fa ritrovare agli americani affondato nelle acque prospicienti lo stabilimento di Baia [9].

Ma ripercorriamo con ordine gli ultimi tristi mesi di guerra del silurificio.
Il 28 aprile 1943 l’Ufficio di Sorveglianza Tecnica Armamento Aeronautico presso il Silurificio Italiano rileva una grave infrazione. Ai siluri sottoposti al collaudo, presso il pontile di Baia, sono stati sostituiti i guida siluri (la parte più delicata dell'arma) con altri già collaudati, alterando cosi i risultati delle prove [10].

Denunce e sospetti di pratiche simili sono emersi anche in anni precedenti, ma ora i tempi sono cambiati. L'indagine interna condotta dall’ammiraglio Minisini esclude un intendimento doloso da parte degli accusati i quali sarebbero stati animati soltanto dal desiderio di aumentare la produzione. Ma quando il ministero dell’aeronautica comunica l’irregolarità a quello della marina che, per ragioni di competenza, nomina una commissione d'inchiesta, questa rileva la responsabilità indiretta della direzione del silurificio e diretta di un ingegnere addetto ai collaudi, di un capoperaio e di tre operai che sono deferiti al T.S.D.S. (Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato).
Il Duce, il ministro della produzione bellica ed il sottosegretario di stato alla marina dispongono lo scioglimento del consiglio di amministrazione del “Silurificio Italiano” con l’immediato esonero dell’ammiraglio Minisini che però resta come consulente tecnico.
Il 26 maggio 1943 il Consiglio di Amministrazione del silurificio lo sostituisce col presidente della Navalmeccanica Vincenzo Tecchio, che mantiene le due cariche, con conseguente appesantimento burocratico e perdita di snellezza indispensabile in quei momenti di battaglia, così come lamenta lo stesso Minisini, con una lettera non esente da rancori e gelosie pregresse.

All’8 settembre 1943, alla dichiarazione dell’armistizio, la direzione del silurificio ha già preso buona nota di una direttiva emessa il 31 agosto da Francesco Giordani, vicepresidente dell’I.R.I., la quale ordina che in caso di occupazione gli stabilimenti ancora in grado di funzionare non debbono essere in condizione di lavorare per il nemico.
Un tentativo del tenente Giuliani, affiancato da Pasquale Schiano figlio di Ernesto podestà di Bacoli e noto antifascista, di difendere lo stabilimento dall’occupazione tedesca non riesce anche per la opposizione dell’ex presidente Eugenio Minisini. Pertanto lo stabilimento viene occupato e sembra che all’atto dell’ingresso da parte dei tedeschi fosse già stato saccheggiato dai civili con la distruzione e l’asporto di molto materiale.
E questo nonostante l’apparente atteggiamento ostile mostrato da Minisini che in questo frangente trova rifugio presso il siluripedio dell’isolotto di San Martino che i tedeschi, non del tutto consci del completo collasso italiano, ancora non hanno occupato.

Questa circostanza fortuita (o pianificata?) dà inizio alla "Mission Mc Gregor", una delle più famose azioni condotta dall’O.S.S. (Office of Strategic Service), i servizi segreti americani predecessori dell’attuale C.I.A., il cui rapporto del novembre 1943, denominato “Three-man assault submarine”, è stato di recente declassato. Gli americani hanno problemi con i loro siluri ed in questo campo hanno bisogno della più precisa tecnologia italiana sviluppata sia dall'ammiraglio Minisini sia dal professor Calosi [11].

Carlo Calosi, nato nel 1905, è ritenuto un esperto ricercatore in merito alle nuove tecnologie sottomarine e durante la seconda guerra mondiale partecipa allo sviluppo del siluro filo alimentato e filoguidato progettato per la Marina Italiana; il miglior siluro marittimo disponibile sulla piazza.
La storia di Calosi comincia con un "click" quello prodotto dal sensore elettromagnetico di sua invenzione che, inserito nella testata del siluro, consente l'esplosione per prossimità col bersaglio e non più per impatto diretto; nasce così il S.I.C. (Siluro Italiano Calosi). Questa tecnologia è ora in possesso anche dei tedeschi (cui la Regia Marina ha venduto un grosso quantitativo di questi siluri) pertanto gli americani, che ancora non fanno molta differenza tra Minisini e Calosi, hanno bisogno di questi tecnici per sviluppare un antidoto alla loro stessa invenzione. Nel frattempo sembra che Calosi, che risiede a Roma, sia accusato, non si sa bene se dagli italiani o dai tedeschi, di spionaggio a favore degli americani per la qual cosa qualche fonte riporta che si sia rifugiato in un convento della capitale per sfuggire alla caccia dei tedeschi che occupano la città.

La sera del 24 settembre i commando britannici della “30° Assalt Unit” prelevano l’ammiraglio Minisini e la sua seconda moglie (rimasto vedovo nel 1929 ha sposato nel 1932 Adele Dozzi di anni 46) dall’isolotto di San Martino e con una “Patrol Boat” lo portano a Capri, che è già occupata dagli alleati, facendolo alloggiare presso l’albergo “La Palma”. L’ammiraglio, in mancanza di addetti inglesi, è interrogato dal famoso agente americano dell’O.S.S. Peter Tompkins, in quel momento a Capri per convincere Benedetto Croce ad appoggiare il governo Badoglio. Tompkins consente a Minisini di scegliere se collaborare con gli inglesi o con gli americani; Minisini, abbagliato dal miraggio americano, sceglie questi ultimi e da questa decisione prende il via l’accennata missione "Mc Gregor".
L’ammiraglio cede agli agenti dell’O.S.S. cianografie e campioni di congegni segreti, ampie descrizioni di mezzi sottomarini in costruzione, risultati di esperimenti aerei e navali, particolari di siluri radiocomandati e di un acciarino magnetico di nuovo tipo. Disegna anche una pianta del Silurificio di Baia, indicando dove possono trovare un sottomarino tascabile e parti di un siluro speciale in costruzione.
Gli americani, che solo da poco hanno messo piede sul suolo europeo, non riescono a trattenere il loro entusiasmo per aver messo le mani su quello che valutano una specie di “Dottor Stranamore”; scienziato tuttofare e pentito che non vede l’ora di collaborare con i novelli liberatori. Subito sono avvisati i responsabili della "Mission Mc Gregor" che è guidata dal tenente John M. Shaheen ed è inoltre composta da E. Michael Burke, John Ringling North e Marcello Girosi. Quest’ultimo è un ex uomo d'affari di New York (poi produttore di film con Carlo Ponti) fratello dell’ammiraglio Massimo Girosi che in quel momento ricopre delicati incarichi al Comando Supremo della Marina Italiana (sic …e non nel senso di Siluro Italiano Calosi).
Viene coinvolta la marina americana che mette a disposizione una sua “Patrol Boat” dalla quale i quattro agenti sbarcano a Capri, sottraggono nottetempo Minisini alla custodia degli inglesi, e lo trasportano in una località (o probabilmente una unità navale) sotto giurisdizione americana.  Da un rapporto dell’O.S.S., diretto al generale Donovan, apprendiamo poi che Minisini il giorno 18 è inviato negli Stati Uniti dove arriva il 23 ottobre 1943.

Il 17 dicembre lo raggiunge un gruppo di 11 ingegneri e tecnici italiani (Giuseppe Buono, Antonio Calandrelli, Raffaello Gentile, Alfonso De Luca, Salvatore Lucci, Franco Pasqualigo, Umberto Russo, Francesco Rosapepe, Alfredo Sciarrotta, Ferdinando Stahly, Fabio Calcabrini) selezionati e richiesti dallo stesso Minisini, unitamente a 40 tonnellate di materiale tecnico prelevato presso il silurificio di Baia per facilitare il suo lavoro in America. L’intero gruppo di italiani (di cui 8 sicuramente tecnici ed altri amici o parenti di amici) è inviato a Newport (Rhode Island) presso la “U.S. Navy Torpedo School” [12].

La maggior parte della collaborazione tra la “U.S. Navy” e la “Regia Marina” si svolge in modo ambiguo e questa cooperazione è definita dagli americani come “delicate relationship”; un delicato rapporto con balzi che alternativamente vanno dal tragico al comico. I 12 italiani richiesti da Minisini in America non solo hanno problemi con la “U.S. Navy” ma anche con il servizio segreto italiano. Quando il Tenente Fabio Calcabrini è trasportato dalla O.S.S. da Napoli negli Stati Uniti, per lavorare al progetto, viene accusato di diserzione dal ministro della Marina, l’ammiraglio de Courten, che non è ben informato non concede i relativi permessi. Questi sono rilasciati solo il 16 dicembre 1943 quando Minisini stesso dichiara che Calcabrini è essenziale al suo progetto.
Il 30 dicembre l’ammiraglio Minisini chiede, per se e per i suoi collaboratori, migliore sistemazione logistica, automobili, salari, indennità ed altri “benefit”, tutte cose che ottiene generosamente dagli americani con gli accordi del 12 gennaio 1944.
Intanto il giorno 11 gennaio anche il professor Carlo Calosi aderisce all’appello di Minisini. Fugge da Roma ed è raccolto in mare da operatori della stessa O.S.S. che prontamente lo conducono in America.

Il 14 febbraio gli americani reclamano la loro insoddisfazione e delusione per il lavoro svolto dal gruppo di Minisini, in particolare pensano che non siano sviluppabili oltre gli studi sui sottomarini sperimentali di cui hanno di già constatato i limiti. Sono ora maggiormente interessati all’elettronica ed alle spolette di prossimità del siluro studiato da Calosi, pertanto il 3 marzo lanciano proposte e raccomandazioni per studiarne e migliorarne le contromisure. Il 10 maggio 1944 Minisini e Calosi sono pronti a dare dimostrazioni delle contro misure da loro studiate per annullare i sistemi del siluro S.I.C., pertanto viene richiesto alla Regia Marina, per scopi di ricerca, d’inviare verso gli Stati Uniti otto di questi siluri muniti delle famose testate realizzate da Calosi. La Marina cobelligerante riferisce che non è possibile poiché la documentazione, circa l’uso dei siluri, è a Roma, in quel momento occupata dai tedeschi, e quindi se pure inviasse qualche siluro nessuno saprebbe poi lanciarli.
Il gruppo Minisini cerca di sopperire “a memoria” ma intanto le loro richieste diventano sempre più pressanti e la U.S. Navy non può fornire tutto ciò di cui hanno bisogno.
E’ incredibile, riferisce la marina americana, la quantità di materiale che essi acquistano direttamente a livello locale con costi a carico della base.
Inoltre desta scalpore il “menage” quotidiano condotto dalla moglie di Minisini che alloggia presso il “Muenchinger King Hotel” di Newport. L’ammiraglio italiano ha richiesto per lei un trattamento a norma ed in linea con il suo rango. Per gli americani sembra che i protagonisti di questa avventura si siano dimenticati di una guerra in corso e che l’importante sarebbe solo collaborare con maggior impegno al progetto che riveste una certa importanza per il loro servizio sottomarino.

La U.S. Navy sebbene burocraticamente ubbidiente al progetto approvato dal Segretario di Stato alla Marina, ma recalcitrante ad ammettere di avere qualche cosa da imparare dagli italiani, il 22 giugno 1944 riferisce che, ad eccezione di Calosi al quale è richiesto di rimanere, non è più interessata all’intero gruppo di lavoro che pertanto può tornare in Italia. Il 24 settembre 1944 l’ammiraglio de Courten dall’Italia approva sia il ritorno di Minisini e del suo gruppo sia la richiesta di prolungare la permanenza di Calosi. Per esso la U.S. Navy auspica il collocamento in qualche collegio universitario (che saranno poi la Harvard University e il Massachusetts Institute of Technology). Si pensa che dopo la guerra possa essere utilmente impiegato in qualche industria privata; come effettivamente avverrà con il gruppo Raytheon.

Intanto il 5 gennaio 1945 Minisini parte da Newport per far ritorno in Italia ed arriva a Napoli il giorno 13. Tutti i suoi collaboratori riescono a restare oltre oceano ottenendo un provvisorio permesso da visitatori; faranno ritorno in Italia alla conclusione delle ostilità ed otto di loro saranno assorbiti dalla Microlambda fondata nel 1951 al Fusaro ad opera di Carlo Calosi. Tra essi il solo Alfredo Sciarrotta (1907-1985) resta a Newport dove impianta un laboratorio di argenteria diventando un famoso cesellatore orafo.

Il giorno 7 febbraio 1945 viene dichiarato ufficialmente concluso il progetto “Mc Gregor” e gli agenti Burke e North ricevono la “Stella d’Argento” per il buon lavoro svolto.
Nel 1946 dalla vicenda viene tratto un film più o meno aderente alla storia dal titolo "Cloak and Dagger" (“Maschere e Pugnali” il titolo italiano) a cui partecipa lo stesso Burke; produttore è Milton Sperling, anch’esso un agente O.S.S. in tempo di guerra [13a/13B].


La storia è basata sulle esperienze reali del consulente tecnico Michael Burke che, come agente O.S.S., si vede assegnata la missione di contrabbandare l'ammiraglio Minisini fuori d'Italia.
Burke, completando con successo la missione, impedisce ai nazisti di entrare in possesso del meccanismo elettronico per siluri sviluppato da Minisini.

Eugenio Minisini muore a Varese il 16 maggio 1946, non se ne conosce la causa nè si sa se abbia lasciato figli. In lui sono da riconoscere alti meriti unitamente a grosse perplessità che assolutamente non scalfiscono la sua incrollabile creatività e laboriosità.
Per descriverlo e capirlo basta la frase che pronunciano tutti i friulani:
“E fasìn di bessói”, (facciamo da soli).
Gran gente i friulani”. 
E questo fu anche Minisini.

Giuseppe Peluso





Bibliografia

Roberta Lucidi – Il Silurificio Italiano dal 1922 al 1945 - Quaderno SISM 1995

Admeto Verde – Monte di Procida tra XIX e XX secolo – I Campi Flegrei n. 1/3 – 2009

Ammiraglio Antonio Fioravante Volpi – Pari Avanti Turra - Gemona del Friuli – Apr./Set. 2011

Enrico Cernuschi - Il Regio Sottomarino Sandokan – Rivista Marittima, ago./set. 2002

Charles T. O'Reilly - Forgotten Battles: Italy's War of Liberation, 1943/1945

General William J. Donovan – Selected O.S.S. Domuments  - 1941/1945

Franco Harrauer – www.altomareblu.com/sommergibile-sa3-kammamuri/ - mag. 2011

AA.VV. - www.betasom.it/forum/ - Il Silurificio di Baia

Simon Pocock – Campania 1943 – Volume II – Parte II – 2009


P.S.: Pubblicato su “Sibilla Cumana – La fonte del sapere” . nel Dicembre 2012



Nessun commento:

Posta un commento