mercoledì 6 giugno 2012

Naufragio Flegreo


  

Naufragio Flegreo
In un precedente numero di “Pozzuoli Magazine”, del novembre 2011, ho accennato del panfilo “Sereno” e del suo proprietario, il “cummenda” Angelo Rizzoli. Ricordando importanti ospiti del “Sereno”, tra cui lo Scià di Persia, avevo riportato il seguente tragico episodio:
Dopo il pranzo l’imperatore s'imbarca verso mezzanotte sul “Sereno”, il panfilo di Rizzoli, che l’avrebbe portato a Pozzuoli da dove avrebbe poi proseguito per Roma. All'uscita del porto è speronato da uno di quei barconi senza luce che vengono da Baia. La piccola imbarcazione cola a picco, ma anche il “Sereno” ha danni alla prua, tanto da dover essere scortato da un altra nave di Rizzoli, la Regina Isabella I°. La cosa è messa a tacere, per ovvii motivi, comprando il natante andato a fondo e facendo poi la pratica per la distruzione dello stesso.’
Questa semisconosciuta vicenda ha riacceso vivaci ricordi in uno degli ultimi superstiti di quel naufragio, il capitano Antonio Mazzella [1] allora giovane mozzo sul barcone coinvolto, che ha messo per iscritto queste sue memorie che ci riportano alla marineria di una volta, ai sacrifici, ai pericoli di chi va per mare. Nei colloqui che ho avuto con lui ho avvertito la passione e la nostalgia che questo marinaio flegreo nutre per la sua terra e per il suo mare; da qui il titolo di un suo libro nel quale raccoglierà le sue numerose avventure e sventure vissute in giro per il mondo. Mi ha parlato di tradizioni e dei soprannomi che davano alle imbarcazioni; il suo motoveliero, tipo bilancella, aveva il nome “Sentinella” ma era conosciuto come “bidone”; un'altra bilancella era conosciuta come “baccalajolo”. La bilancella [2], battello da pesca o da carico è originaria di Napoli ma si trova lungo tutta la costa dell’Italia occidentale, nella Francia meridionale e in Spagna, in diverse versioni e dislocamenti. In Spagna si chiama “Balancela”, in Francia “Bilancelle”. La bilancella italiana ha ruota di prua e dritto di poppa dritti in cascata. Lo scafo è slanciato a prua e a poppa, ha modesta insellatura ed è completamente pontato. L’alberatura è costituita da un albero verticale con vele latine semplici o a sciabecco. Un fiocco di straglio è fissato con una estremità a bompresso. La bilancella da pesca è lunga 9-12 m, mentre quella da carico può avere una lunghezza fino a 20 metri. La bilancella viene spesso utilizzata in coppia, per la pesca alla “gaetana”, con barche che procedono al “paro”, da cui la parola paranza, con una rete a strascico trainata da ambedue le barche.
Ma cedo la penna direttamente al capitano Mazzella per seguire il suo racconto.

§ Nel 1958 avevo 16 anni ed ero imbarcato in qualità di mozzo sul motoveliero “Sentinella” [3 quadro]. Il “Sentinella” era uno dei tipici velieri con motore ausiliario del golfo di Napoli che trasportavano materiali da costruzione, carbone e generi alimentari. In genere si trattava di bilancelle, magari convertite prima in cutter e poi motorizzate. La bilancella, per chi non lo sapesse, era la tipica imbarcazione a vela del golfo di Napoli, armata con un albero a vela latina. Era la versione minore della tartana. Siccome la vela latina era faticosa da manovrare col tempo fu sostituita da vele auriche, ecco quindi l’armo a cutter, e, quando il progresso fu evidente, fu installato anche un motore diesel, spesso di tipo primitivo, a testa calda.
Il 15 luglio 1958 caricammo del brecciolino a Marina di Puolo, presso Massa Lubrense, nella penisola sorrentina. Alle 20,00 salpammo per Ischia, dove il carico era destinato. Il 30% del carico lo mettevamo in coperta, la stiva non si chiudeva mai. In coperta, tra la mastra del boccaporto e la murata, venivano sistemati dei pannelli altrimenti il mare si prendeva il carico. Era normale per queste barche, caricate in maniera inverosimile, navigare con il trincarino immerso nell’acqua; quindi si navigava sempre con 30 centimetri di acqua in coperta. Questo carico era molto scorrevole e, se si navigava con mare al traverso, si rischiava uno sbandamento, o peggio…
Come se non bastasse navigavamo con i fanali spenti. Un marinaio anziano con una torcia faceva luce per segnalare almeno la nostra presenza. A bordo eravamo in sette a far parte dell’equipaggio, ma solo il comandante ed un mozzo stavano imbarcati a ruolo. Noi rimanenti stavamo “in nero”. Oltre alle mansioni di mozzo mi prestavo anche alla mansione di allievo motorista e quindi, durante la partenza e l’arrivo, la manovra giù al motore la facevo io. Anche se sono passati tanti anni ricordo ancora oggi il tipo di motore che era installato a bordo, era un Deutz da 36 cavalli vapore.
Alle 22,30 fui svegliato per prepararmi alla manovra di ormeggio, perché eravamo quasi arrivati a Ischia. Scesi nel piccolo locale dove era sistemato il motore e cominciai i preparativi. Per invertire i giri dell’elica il nostro motore portava una leva lunga circa un metro innestata sulla frizione. Sulla frizione c’era una fascia metallica che in navigazione andava allentata altrimenti si surriscaldava. Quindi per prepararci alla manovra e ad invertire la marcia avanti o indietro iniziai a stringere la fascia. Verso le 23,00 ci trovavamo già nell’avamporto di Ischia quando dal porto vedemmo uscire il “Sereno” [4]. Il “Sereno” era il grosso yacht dell’editore Angelo Rizzoli, un dragamine americano trasformato in nave da diporto dai cantieri Baglietto. In seguito sapemmo che a bordo del “Sereno” si trovava ospite lo Scià di Persia, assieme allo stesso armatore Rizzoli. Il “Sereno” uscendo si manteneva sulla sinistra perché sul lato destro dell’uscita c’è basso fondale; chi è pratico del porto d’Ischia ne è a conoscenza. A Ischia, per questo motivo, vige la regola che le navi in entrata devono dare la precedenza a quelle in uscita. Ma il distratto nostro comandante, pur sapendolo, andò ad infilarsi sotto la prua del “Sereno”! Il capitano Renato Molino, comandante del “Sereno”, visto il pericolo, mise macchina indietro tutta, ma non fu possibile evitare la collisione. In pochissimi minuti il “Sentinella” si adagiò sul fondo.
Sono passati tanti anni da allora ed ancora non riesco a capire come feci a sbucare fuori dal vano motore. Appena trovatomi in acqua mi aggrappai addosso al primo marinaio che mi capitò, ma egli subito mi rimproverò di staccarmi da lui, che così rischiavamo di annegare entrambi. Me lo dovette ricordare lui che sapevo nuotare, immaginate in che stato di choc mi trovavo! Avevamo con noi un battello di servizio, una piccola lancia che portavamo sempre a rimorchio. Un marinaio più anziano, si chiamava Biagio Lubrano, che aveva con se sempre un coltello, tagliò la barbetta e liberò il battello dal “Sentinella”. Eravamo tutti salvi così, una volta imbarcatici sul battello, entrammo in porto a remi.
Rizzoli fu molto scosso dall’incidente e volle fare una regalia per compensare almeno lo spavento dei naufraghi del “Sentinella”; cacciò dal portafogli centomila lire, una cifra considerevole per quei tempi, e li diede al nostro comandante, chiedendogli di distribuirle equamente tra i membri dell’equipaggio. Anche se eravamo in sette ci vedemmo distribuire solo diecimila lire ciascuno…
Quella notte ad Ischia ci arrangiammo come meglio possibile. In porto c’erano alcuni motovelieri, mi recai a bordo di uno di essi, svegliai un mio amico e mi feci dare una camicia e un paio di pantaloni. Poi pernottai su una nave cisterna della marina militare. L’indomani mattina dovevo tornare a casa, a Monte di Procida, così mi imbarcai sul “Salvatore Marino”, una piccola motonave passeggeri che faceva servizio tra Ischia e Pozzuoli. All’arrivo a Pozzuoli mi recai alla stazione della ferrovia cumana, dove scoprii che era in sciopero. L’unica possibilità che avevo di tornare a casa fu di farmela a piedi da Pozzuoli fino a Monte di Procida, una quindicina di chilometri! Così oltre il danno dell’affondamento dovetti subire la beffa di un ritorno a casa quanto mai faticoso. All’arrivo a Monte di Procida mi rimase un’ultima incombenza da sbrigare; fui io a dover avvertire l’armatore della disgrazia avvenuta.
Il relitto del “Sentinella” rimase tanti anni abbandonato all’entrata del porto d’Ischia. Capitano Antonio Mazzella. §

Cosa posso aggiungere a questo emozionante ricordo? Dirò solo che il menzionato “Salvatore Marino” [5], costruito nel 1955 dal cantiere Ciro Massa di Torre del Greco con scafo in legno di 41 tonnellate di stazza, resta, per noi “di una certa età”, la mitica motonave legata alle giovanili escursioni isolane.
Allo stesso armatore di Procida apparteneva la quasi gemella “Margherita Marino” che negli anni ’60 cambia società e con il nuovo nome di “Raffaele Savarese” presta servizio sulla linea Castellammare / Sorrento / Capri. Successivamente è ceduta ad armatori siciliani ed impiegata sulla linea Milazzo / Isole Eolie; poi fa ritorno nel golfo flegreo assicurando nuovamente collegamenti tra Procida e Pozzuoli.
Purtroppo il “Salvatore Marino” in data 29 marzo 1985, ben ventisette anni dopo i fatti narrati dal Capitano Mazzella, viene speronato e affondato dal traghetto “Ischia Express” nel canale di Procida. A bordo dovrebbero esserci oltre trenta studenti che il “Salvatore Marino” si accinge a prelevare al Monte di Procida per riportarli all'Istituto Navale di Procida. I nove marittimi procidani imbarcati sul natante sono ripescati da alcuni pescatori che stanno tirando su le reti nei dintorni. La collisione ha un lungo strascico polemico tra procidani ed ischitani e il comandante del "Marino" riferisce: “I salvagente dalla nave ischitana ci sono stati lanciati in ritardo, male e lontano". Per il regolamento della Convenzione di Londra una nave che raggiunge un'altra deve lasciare libera la rotta al natante raggiunto. Invece, secondo la versione fornita dall'equipaggio del "Marino", l'“Ischia Express” non se ne cura tagliandogli la rotta e spezzandolo in due.
A sua volta il traghetto “Ischia Express”, 997 tonnellate di stazza, pochi mesi dopo ed esattamente la sera di domenica 17 settembre 1985 si scontra, sempre nel canale di Procida mentre è in servizio tra Ischia e Pozzuoli, con il rimorchiatore militare "Prometeo" che rientra a Napoli dopo l'annuale gita a Ventotene che l'amministrazione militare offre ai suoi dipendenti civili. Il mare è piatto come una tavola, forza zero, la visibilità ottima nonostante l'ora, le segnalazioni luminose in ordine. La prua del traghetto deforma l'intera paratia sinistra del natante militare e apre uno squarcio di oltre due metri nel settore poppiero. E’ quasi tragedia, la collisione è violentissima e provoca, oltre ad alcuni feriti leggeri, l’amputazione di entrambi i piedi e la frattura delle costole, con conseguente perforazione dei polmoni, di due anziani coniugi. Anche per questa collisione si accusa il comandante dell'Ischia Express poiché il rimorchiatore è speronato sul lato sinistro e per il codice di navigazione chi proviene da dritta deve avere la precedenza.
Tutto quanto narrato, reso attuale dalla cronaca recente, dimostra ancora una volta quanto sia pericoloso distrarsi andando per mare, seppur sottocosta.

Giuseppe Peluso – Pozzuoli Magazine del 28 aprile 2012


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