mercoledì 27 giugno 2012

Il “Brusa” a Pozzuoli - Un pescecane della finanza











Il “Brusa” a Pozzuoli
Un pescecane della finanza

Banchina di Pozzuoli, calda mattinata di sabato 5 settembre 1931. Sulla ripa affollata di marinai, pescivendoli e popolane avanza una vettura da nolo proveniente dalla vicina Napoli. Procede lenta, il molo è affollato e il cavallo risente del tratto San Pasquale a Chiaia Pozzuoli percorso velocemente. Giunta all’altezza della vecchia cantina il cocchiere ferma la carrozza, smonta e corre ad aprire la porta per farne discendere i quattro passeggeri. Ne escono in ordine un uomo di circa 35 anni, un bambino di 6, una giovanetta di 7 anni ed una slanciata donna dall’apparente età inferiore a 30. La carrozza è separata dal mare solo da discontinue fila di botti e dietro queste sbuca un uomo, di bassa statura, con la pelle bruciata dal sole e con un abbigliamento che subito lo annovera come marinaio. Va incontro ai discesi passeggeri e stringe la mano al capofamiglia; senza scambio di parole. Il marinaio è capobarca ed armatore del motoveliero ormeggiato dietro le botti. Subito dopo i convenevoli volge lo sguardo verso il barcone e fa un cenno ad alcuni uomini seduti su casse già caricate in coperta. Sono quattro i marinai, parte dell’equipaggio, che subito dirigono verso il retro della carrozza ed iniziano a prelevare valigie, bauli e pacchi abbastanza numerosi per una famigliola che si reca a Ponza per il solo fine settimana. Gli ufficiali daziari, alle dipendenze del direttore Pasquale Flandin, controllano la sola merce in arrivo; non creano problemi per quelle in partenza. Tutto procede naturale, forse come fatto altre volte in precedenza. Marinai ed ospiti prendono posto a bordo e subito si parte a motore; ma si prepara anche la vela. L’ospite è Luigi Scotti, ancor giovane rappresentante tessile, purtroppo vedovo da due anni. Ha con se la figlia Jole, il figlioletto Aldo, e lo accompagna la sorella Maria che con amore segue i due nipotini. Sono diretti a Ponza dove alloggeranno in casa di Assunta Scotti, che nonostante il cognome non è loro congiunta; Assunta è originaria di Pozzuoli ed è lontana parente di Biagio, il capobarca. Giunti all’isola, nelle prime ore pomeridiane, i marinai trasferiscono i bagagli nella bianca casetta di via Banchina. I bimbi e la zia dirigono subito per la vicina spiaggia e Luigi Scotti li segue ma non certo con l’intenzione di godere del mare. Deve incontrare Giulio Brusadelli, condannato dal regime fascista al confino su quest’isola, come tanti altri. A lui sono diretti la maggior parte dei beni alimentari, di vestiario e di svago letterario contenuti nei numerosi bagagli che la disponibile Assunta gli recapiterà poi con calma.
Intanto sorge spontanea la domanda: “Chi è costui? Chi è Giulio Brusadelli?” Nato da famiglia poverissima, nel 1878 a Cassano Magnago, resta orfano di padre a dieci anni. Questo ragazzo riesce a mantenere la madre e i tre fratelli più piccoli tenendo, nelle ore libere dalla scuola, la contabilità dei negozi locali. A quindici anni trova lavoro, come operaio tessile, in un linificio della vicina Gallarate. La sua carriera è rapida, i dirigenti lo promuovono impiegato, a vent’anni è già rappresentante di numerosi cotonifici di cui diffonde i prodotti soprattutto all’estero. A trentaquattro anni riesce a fondare una’azienda commerciale propria, cui dedica diciotto ore di lavoro al giorno. Il “Brusa”, come viene chiamato, nel 1919 diventa il fornitore, quasi monopolista, delle camice nere, grazie all’amicizia personale con Mussolini, e questo gli procura la possibilità di condurre una prima scalata alle azioni del Cotonificio Dell’Acqua di Legnano. Cosa che manda su tutte le furie il Capo della Banca Commerciale Giuseppe Toepliz, ma questo assalto procura per molti anni al Brusadelli la fama di arbitro incontrastato dei titoli tessili, nella Piazza Affari di Milano, nonché l’amicizia del celebre Giulio Riva. Nel 1925 riesce ad acquistare per intero il Cotonificio F.lli Dell’Acqua e in pochi anni porta gli operai occupati da 1.200 a 8.000.
Nel 1931 viene condannato dal governo fascista al confino a Ponza e qui riceve, come visto, aiuti e visite del suo rappresentante per la Campania Luigi Scotti che lo aggiorna sull’andamento produttivo e di mercato del suo importante cotonificio costituito da filatura, tessitura e tintoria. Voci comuni riferiscono che Brusadelli sta dando la scalata alla stessa Banca Commerciale Italiana e solo per questo motivo Benito Mussolini lo manda al confino. Poi si inserisce la leggenda riferendo che il Duce, informato dal suo braccio destro Farinacci che il cotonificio comincia a traballare e per evitarne il collasso, dichiara che se Brusadelli avesse tenuto un discorso in camicia nera alle sue maestranze lo avrebbe reintegrato nelle sue funzioni direttive. E così è; nonostante le sue idee politiche, Brusadelli accetta il compromesso perché estremamente legato alla sua azienda.
Qualunque siano effettivamente state le motivazioni dopo solo 10 mesi ritorna dal confino con rinnovata volontà di lavorare. Riprende i contatti con Giulio Riva, uomo di pochi scrupoli, sposato con la figlia del Senatore del Regno Felice Gaio Lampugnani; un “cesso” terrificante, la definisce lui, ma dalla dote ricchissima. Il Riva fa incetta di commesse per la Guerra di Etiopia e di Spagna, senza mai essere però integrato nel giro esclusivo della finanza milanese. Nonostante riesca a scalare consistenti pacchetti della SNIA Viscosa di Franco Marinotti, della Chatillon e della Edison, la Finanza con la “effe” maiuscola, quella dei “salotti buoni” gli chiuderà sempre le porte; Mattioli rifiuterà senza fine di ricevere “quello stradino ignorante”. Nel periodo bellico Riva acquista a prezzi stracciati terreni e stabili devastati dai bombardamenti, oltre ad accaparrarsi le forniture di cotone, filati, semilavorati, tessuti. Si muove in tempo il Riva fin dal 1940, grazie alle confidenze di Roberto Farinacci, quando nessun industriale ritiene la guerra lunga, riuscendo così a spuntare un rilevante vantaggio competitivo.
Negli anni difficili che seguono la conclusione della seconda guerra mondiale il “Brusa”, dal 1941 cavaliere, è tra i primi industriali a riavviare la produzione negli stabilimenti appena ricostruiti, meritandosi la simpatia dei suoi stessi dipendenti, anche se diventa, insieme al socio Giulio Riva, un tipico “pescecane” di quelli che sanno muoversi in questo periodo turbolento del dopoguerra. Del 1946 il ventenne Aldo Scotti, che abbiamo visto bimbo imbarcarsi a Pozzuoli nel 1931, nelle sue memorie riferisce: “Ricordo ancora, e lo conservo gelosamente, il quadro di Casciaro padre che Giulio Brusadelli e la moglie Ida regalarono a mio padre in occasione di una loro visita nella nostra abitazione; con questo gesto vollero dimostrare il loro riconoscimento per quanto fatto da mio padre durante il periodo dell’esilio. Era un uomo di elevata intelligenza, legato alla sua attività imprenditoriale in maniera veramente non comune.”
In occasione di questa visita Giulio Brusadelli si reca al porto di Pozzuoli; visita i luoghi dove mossero i suoi sollievi e conosce chi come patrón Biagio materialmente gli fu d’aiuto; con questi “sentimentalismi” circonda la sua figura di un alone leggendario. Nella sua visita si innamora della Terra Flegrea e tratta per l’acquisto di una villa sulla litoranea Bagnoli Pozzuoli; trattative interrotte per la morte della moglie Ida.
Ben presto si risposa con Anna Andreoli, molto più giovane di lui e molto più sofisticata. Frequentano i salotti del bel mondo e spesso sono a Capri in una villa che il “Brusa” acquista dal suo rappresentante di Roma. Ancora una volta ci aiutano le memorie di Aldo Scotti che così racconta: “In quell’occasione mi misi a disposizione di Giulio Brusadelli per circa due mesi, e lo attendevo al Molo Beverello con la mia Lancia Ardea per accompagnarlo non solo presso gli Istituti bancari, ma anche presso i più importanti industriali del settore conserviero, settore nel quale intendeva introdursi e che in quell’epoca era tenuto in grande considerazione, e anche negli incontri con il comandante Achille Lauro. Questi incontri erano necessari per avere la collaborazione e l’interessamento a questa sua nuova iniziativa. La moglie lo dissuase dal portare avanti questa nuova attività, data l’età avanzata.”
Presto tra Giulio Brusadelli e Giulio Riva scoppia la rivalità, per motivi strategici e personali. Il Brusa ritiene che il tessile sia un settore destinato al declino e disapprova la tendenza del socio a non diversificare gli investimenti. Brusadelli è un gran sostenitore della “DC”, tant'è che alla vigilia delle elezioni politiche del 18 aprile '48 è tra gli industriali che costituiscono un fondo per sostenere la campagna elettorale democristiana. Subito dopo l’attentato all’onorevole Togliatti, del 14 luglio 1948, vende il pacchetto azionario del “Cotonificio Dell’Acqua” al Riva temendo una rivoluzione catastrofica per il nostro Paese. Pochi mesi dopo cambia idea. Il 18 ottobre 1948 il “commenda” Giulio Brusadelli, ormai settantenne, si rivolge al Tribunale di Milano chiedendo di rientrare in possesso della maggioranza del pacchetto azionario ceduto. Pietra dello scandalo il Cotonificio Dell’Acqua, per un valore di tre miliardi di lire, che è alla base di una controversa giudiziaria che si trascinerà per anni, arricchendo le cronache mondane e rosa del secondo dopoguerra, per il piccante e torbido triangolo tra il “Brusa”, sua moglie Anna e il Riva. In pratica il Brusadelli dice che il Cotonificio Dell' Acqua, gli è stato estorto dalla moglie, Anna Andreoli, con "circonvenzione sessuale e indebolimento psichico”, a vantaggio del suo amante, Giulio Riva, anch'egli industriale tessile. La donna, scrive il legale di Brusadelli nell'esposto al giudice, è una "raffinata distributrice di piaceri sessuali, rivolti a turbare lo spirito del vecchio e a farlo cadere vittima del raggiro..". La signora Anna affida la sua difesa ad un valente avvocato il quale porta davanti al giudice alcuni volumi per dimostrare che si tratta di libri acquistati senza malizia ribattendo così l’accusa che fra l’altro parla di letture oscene cui lo avrebbe costretto per motivi afrodisiaci. Poco dopo Brusadelli si avvede che l’avvocato Candian, cui si è affidato, lo ha condotto fuori strada impostando il ricorso su basi assurde; pertanto tenta di riappacificarsi con la moglie che però non ne vuol sapere. Ben presto il lato piccante della vicenda rimane nell'ombra; gli accertamenti giudiziari pongono in chiaro un vasto giro di evasioni fiscali. Brusadelli ha un patrimonio di 50 miliardi ma paga al fisco 400 mila lire, corrispondenti a un imponibile fiscale di solo 2 milioni e mezzo l'anno, invece di pagare 230 milioni di complementare e 3 miliardi di patrimoniale. A questo punto le indagini fiscali si allargano a Giulio Riva e ad altri industriali tessili. Si scopre così che Riva, residente nel comune di Saronno amministrato dalla DC, con un patrimonio di 65 miliardi paga su un imponibile di solo 3 milioni l'anno. Franco Marinotti, ancora più potente di Brusadelli e di Riva, patrimonio 120 miliardi, paga al comune di Milano su un reddito di solo 11 milioni. Grosse evasioni anche dalla Cucirini Cantoni, dal Cotonificio Olcese, dalle Manifatture Rossari, dal Cotonificio De Angeli, al quale è legato il ministro socialdemocratico dell'Industria e commercio, Ivan Matteo Lombardo. Il Governo, nel quale oltre al Lombardo siede come ministro del Tesoro Giuseppe Fella, esponente dell'industria tessile del biellese, tenta di arginare le conseguenze dello scandalo, anche perché, come visto, Brusadelli e gli altri evasori sono in gran parte sostenitori della Democrazia Cristiana.
Nonostante l’insabbiamento questa nuova disavventura mina Brusadelli nella salute provocandogli un infarto e la paura di una condanna lo decide a rifugiarsi a Lugano da dove rientrerà saltuariamente solo alla fine degli anni ’50 dopo aver risolto la sua situazione giudiziaria. Nel 1960 il suo vecchio socio Giulio Riva muore per sopraggiunte complicazioni dopo un'operazione di appendicite; allora prende la guida delle sue numerose società industriali, commerciali e finanziarie il figlio Felice Riva che sarà accusato ed arrestato per bancarotta fraudolenta. Nel 1969 Felice Riva, per sfuggire alla condanna definitiva, si rifugia in Libano, prima della guerra civile che sconvolge la regione, conducendo una vita lussuosa e la sua vicenda riempirà per anni le cronache mondane e giudiziarie italiane.
Gli ultimi anni di vita del “Brusa” sono fortemente sofferenti ma è amorevolmente assistito dalla riappacificata moglie Anna con la quale conduce ora vita ritirata. Muore a Lugano il 1 novembre del 1962 dove risiede; uno dei tanti ospiti di qualche rinomanza che sono riusciti a trovare in questa cittadina rispetto per la loro vita privata.

Giuseppe Peluso – Pozzuoli Magazine del 12 maggio 2012 

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