martedì 10 aprile 2012

Terza Passeggiata












Passeggiata Flegrea degli alunni del
Regio Liceo Antonio Genovesi
Da sempre i Campi Flegrei sono meta di studiosi o di semplici curiosi. Le meraviglie del passato e della natura sono state sempre una forte attrattiva in particolare nel settecento e nell’ottocento, sulla scia del “Grand Tour”.
Nel 1888 il Ministro della Pubblica Istruzione ingiunse che gli alunni dei Regi Licei dovessero, nei giorni di vacanza, esercitarsi in passeggiate ginnastiche per le quali è riconosciuta l’utilità e per lo sviluppo delle forze fisiche e per le cognizioni che acquistano i giovani specialmente di Archeologia e di Scienze Naturali. In omaggio a tale provvida disposizione del Ministro, durante l'anno scolastico 1888-89, gli alunni del Regio Liceo Antonio Genovesi di Napoli ebbero a compiere parecchie gite sempre guidati dal Preside o da altri Professori. Di tutte queste escursioni furono fatte minute relazioni dagli alunni medesimi, per cura del Professor Vincenzo Campanile.
Oggi trascrivo al completo la loro interessante terza passeggiata effettuata alla scoperta del Territorio Flegreo. Trattasi anche della prima testimonianza scritta quali utenti del servizio tranviario a vapore. Dalla relazione affiora qualche inesattezza sulla destinazione di qualche monumento e sulla precisa collocazione cronologica di qualche personaggio, ma il tutto non svaluta la genuina partecipazione e il gran desiderio d’apprendere che visivamente affiora da quei ragazzi per i quali il loro Preside, Dottor Angelo Ferrari, aggiunse che l’ordine e la disciplina, anche in questa passeggiata, furono pienamente mantenuti, e non ebbe a deplorarsi inconveniente alcuno.



Terza Passeggiata - Domenica 16 Dicembre 1888.
Alle 8 e 20 la numerosa comitiva di 75 alunni del Liceo, guidata dai Professori Campanile ed Orefice prendeva posto in due vetture del tramway a vapore alla Torretta, ed alle 8 e ½ moveva alla volta di Pozzuoli. Attraversiamo il nuovo tunnel, parallelo quasi all'antica grotta, e, percorsa la pianura di Fuorigrotta, arriviamo ai Bagnoli. Di rincontro a quella spiaggia, Nisida, “ocellus insularum”, a guisa di piramide, emerge dalle onde; i suoi clivi sono boscosi, qua e là sparsi di qualche villa biancheggiante. Dopo 40 minuti di corsa arriviamo a Pozzuoli, città di sedici mila abitanti, piena di ricordi. Se la sua costruzione è poco simmetrica, essa è sita, in compenso, in una posizione topografica splendida, nella insenatura di un piccolo golfo, che ricorda, in certo modo, quello di Napoli, chiuso ad oriente dalla penisola di Bagnoli, ad occidente dalla costiera cumana.
Il nostro ottimo Professor Barone ci raggiunse colà con una vettura.
In prima visitammo il tempio di Serapide [1]. Impropriamente a questo monumento , oramai in gran parte diruto, si diede tal nome; esso invece era un bagno pubblico, chiamato Serapeo, da una statua di Serapide, che trovavasi nell'atrio. L' edifizio è circolare, ricinto da un colonnato, di cui alcune colonne sono intere, altre spezzate, altre prostrate al suolo. Quasi nel mezzo del circolo si elevano quattro superbe colonne di cipollino, che forse formavano parte del vestibolo. Da queste i naturalisti ricevono una pruova evidente dell'abbassamento e sollevamento della costa, giacche nel mezzo di ognuna di esse si rinviene una zona tutta bucherellata, ed i fori com'è stato provato, non rappresentano altroché le abitazioni scavate dagl'industri molluschi litofagi, allorché tempio e colonne lentamente si sommersero nelle acque. Rileggemmo, quivi, tanto per rinfrescar la memoria, la bella lezione, che a questo proposito ci aveva spiegata il Professor Freda. Il Professore Barone ci dette altre opportune notizie in materia di archeologia, e poscia riprendemmo la strada, fiancheggiata d'ambo i lati dalle costruzioni del cantiere Armstrong [2]. Il sole cominciava a mostrarsi in tutto il suo splendore ed a noi cresceva l'allegria; si camminava in ordine, ma c'era invece il desiderio di saltare. Appare non lontano il Monte Nuovo, una delle più belle promesse della gita; avanziamo il passo, comparisce più vicino; ancora un poco, e siamo alla base. Questo monte è sorto per effetto di una violenta eruzione, avvenuta nella notte del 30 Settembre 1538. Ora il vulcano è spento, ma il monte è rimasto; e sul pendio, accanto a qualche pianta annosa, crescono anche verdi cespugli. L'ascensione è un poco faticosa, ma breve. Ci arrampicammo agli sterpi, ed appoggiandoci a qualche alberello divelto nelle siepi della pianura, che faceva l'ufficio di “Alpenstock”, raggiungemmo la sommità. Dinanzi, ad oriente e a mezzogiorno ci stava il mare mugghiante; d'ambo i lati ne circondavano le colline, le strade biancheggianti attraversavano in tutt'i i sensi i verdeggianti prati. Dalla parte opposta al mare, verso settentrione ed occidente, la prima cosa, che ti si offriva allo sguardo, era l'antico cratere del Monte Nuovo, immenso, e poscia in lontananza altri prati, altre colline. Si rimane scossi a considerare, come da quel luogo, ove ora emana tanta soavità campestre, un tempo eruppero fuoco, fiamme, lava. Sul monte facemmo una refezioncella (n'era tempo!), e poi i più volentierosi giù di corsa nel cratere. Qual piacere a diguazzare li in fondo fra l'erbe irrorate di brina! Per un pezzo percorremmo per lungo e per largo il breve piano e poscia, invitati dal Professor Campanile, che ci diede l'esempio, prendemmo l'erta di petto, e con un poco di fatica riguadagnammo la sommità, e di qui nuovamente la strada.
Si prosegue; ecco il lago di Lucrino [3], famoso per le ostriche, a destra della via ed a poca distanza dal mare. Si va oltre; la strada segue ora dritta, ora tortuosa, ma costeggiata sempre dal mare a sinistra, e fiancheggiata da collinette a destra, e qua e là appariscono ruderi di antiche ville romane. Io andava ricostruendo nella mente la strada in quell' epoca. Doveva essere assai bella! Quelle ville marmoree dovevano parere una schiera di ninfe, tenentesi per mano, che stessero per tuffarsi fra le bianche spume del mare. Oggi lo spettacolo è men bello, ma pure ti riempie di meraviglia.
Passammo per i cosi detti bagni o stufe di Nerone; poco dopo arrivammo al Fusaro; ci fecero entrare nella villetta per osservare meglio il lago, cinto da ogni parte da una fitta boscaglia, che si riflette tutta nelle acque [4].
Ci rimettemmo in cammino verso l'Arco Felice. In un dato punto della strada il Professor Campanile invita i giovani a salire su Cuma; molti lo seguimmo per una viottola angusta, ed in breve fummo sulla collina. In questo sito sorgeva un tempo il palazzo degli imperatori romani; i romani avevano finissimo il senso del bello, specie in quel tempo dei primi Cesari; ed il punto è veramente splendido. Ad oriente Pozzuoli col suo piccolo porto; a mezzodì, il mare immenso; ad occidente il lago di Licola, dalle acque argentine, ed il bosco fitto e rettangolare; a settentrione poi un numero infinito di collinette, che or s'abbassano or s'alzano, ed attraversano in tutt'i sensi la regione; ed in fondo tra due colli il solenne e monumentale Arco Felice, d'onde apparivano agli occhi di Cesare, che aspettava su di una loggia del palazzo, le risplendenti vittoriose legioni, che agitavano nelle destre rami d'alloro e levavano inni di gioia. Il Professor Campanile, opportunamente, fece delle osservazioni sul luogo e sull'importanza, che un dì ebbe, ed io vorrei esser poeta per poter mettere in versi quel tumulto di pensieri, che alle sue parole s'affacciarono alla mente di ognuno.
Ridiscesi, con una piccola deviazione, ci rechiamo a vedere la grotta della Pace, che metteva in comunicazione il palazzo di Cesare col lago di Averno. Si stupisce nel considerare come quella tanto vasta e nel tempo stesso regolare e simmetrica grotta si sia potuto fare a colpi di scalpello. E a me parea sentir rintronare la volta di essa dai misurati passi di un drappello di pretoriani dall'armi corruscanti, che scortano Cesare pensoso sulle sorti del mondo. La luce della grotta vien data da certi fìnestroni. Usciti all'aperto ci rimettiamo, con maggior lena, in cammino; passiamo sotto l'Arco Felice [5]; ed abbiamo l'agio di ammirare quella solida e colossale costruzione; e poco dopo siamo in vista del lago d'Averno. Il lago, giù in fondo, è ricinto da una fila di colline, ch'è interrotta solo verso sud, lasciando vedere una larga zona di mare, le cui onde scintillavano come tante pagliuzze d'oro sotto i raggi obliqui del sole. Quella fascia di mare allontanandosi si dileguava soavamente dentro vapori di viola e d'oro. Il lago, invece, immobile, da sembrare quasi un ampio stagno, presentava una tinta cupa, che tetramente si fondeva col verde scuro dei colli circostanti. La postura del luogo, quei colori stranamente confusi, davano al sito una solenne aria di severità. E tale dovette sembrare ai nostri padri latini, poiché immaginarono che di là le anime muovessero per andare all'Averno.
A questo punto il Professor Barone, rimontato in vettura, ci lascia con nostro grande rammarico, e noi proseguiamo. Nuovi panorami si mostrano quivi alla vista non ancora sazia. Alle 5 facciamo ritorno a Pozzuoli, dopo aver percorso circa 25 chilometri. Eravamo tutti contenti, la nostra mente si era arricchita di tante cognizioni. Alle 5 e ½ prendiamo posto nel Tramway, che ci riporta a Napoli.
Filippo Perrone - Alunno della 3° liceale.



Giuseppe Peluso - Pozzuoli Magazine del 17 marzo 2012

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