sabato 17 marzo 2012

Quarto in Liburia







Quarto in Liburia




Tempo fa i municipi casertani di Lusciano, Parete, Trentola - Ducenta, San Marcellino, Villa di Briano e Frignano avevano cercato di dar vita ad una associazione di servizi che doveva chiamarsi “Unione dei Comuni Liburia”. Questo primo progetto sembra essere naufragato per il poco interesse mostrato dai politici locali ma poi è stato ripreso nuovamente, questa volta dai soli quattro comuni di San Marcellino, Trentola - Ducenta, Frignano e Villa di Briano, con la denominazione di “Nuova Liburia”.
Anche se compiaciuto, per la pur sempre lodevole iniziativa, ho pensato che un ristretto numero di “semisconosciuti casali” sta appropriandosi di un antico toponimo che inizialmente designava solo i nostri “campi ardenti”.
Il nome Liburia compare per la prima volta nel I secolo d.C. con Plinio il Vecchio che, nella sua opera “Naturalis Historia” scritta tra il 23 ed il 79, indica come “Leboriae Agros” ovvero “Campi Leborini” l’attuale piana di Quarto. La denominazione andò estendendosi progressivamente nel corso dei secoli fino a designare la futura intera provincia di “Terra di Lavoro” che forse, come vedremo, da quel toponimo ha origine. Per il significato del nome Leboria ci sono solo congetture. Secondo la maggior parte delle fonti questo toponimo potrebbe essere derivato dal nome di un'antica popolazione, quella dei Leborini, o Liburi, che abitava questi nostri luoghi. Ma Alberto Perconte Licatese, nella sua opera “Capua Antica”, porta le seguenti altre ipotesi. Riferisce che inizialmente si è pensato ad una relazione col latino “lepus”, lepre. In età più tarda, nel XII secolo, sarebbe stato collegato al latino “labor”, inteso come lavoro agricolo, voce passata in alcune lingue romanze ad indicare il campo seminato. Ma non esclude che il toponimo Leboria sia derivato da una cor¬ruzione dell’aggettivo greco latinizzato Flaegreus, con caduta della consonante iniziale (Legreia – Leguria - Leburia), tanto più che le varianti Liguria e Liburia sono entrambe attestate nel “Pactum” del 786 tra il principe Arechi e il duca di Napoli; il primo documento medievale nel quale detto toponimo risulti dopo secoli di oblio.
Dunque Plinio (Quantum autem universas terras Campus circum Campanus antecedit, tantum ipsum pars ejus, quae Leboriae vocantur, quam Phlegraeum Graeci appellant) fa riferimento ai territori che i Greci conoscono come “Phlegrei”, ed esattamente i campi periferici interni (Quarto, Grotta del Sole, Monterusciello, Monte San Severino) in cui sono insediati solo vici, pagi e villae abitati da popolazioni agricole. In questo stesso agro leborino , in località Torre S. Chiara oppure a Monte S. Severino, altre fonti riferiscono sorgesse il santuario di Hamae. Luogo sacro ai campani, distante tre miglia da Cuma, ove romani ed alleati cumani sconfissero Annibale che, con l’appoggio di Capua, tentava di conquistare Pozzuoli e la stessa Cuma.
Dunque la dicitura Liburia, Leboria, Leboriae o, secondo un'ulteriore variante, Liguriae andava ad indicare e delimitare una sola specifica e fertilissima area della più vasta regione conosciuta come Campania Felix. Territorio questo che, insieme al Latium, avrebbe poi formato la “Regio I” nella suddivisione dell’Italia romana voluta da Augusto.
Con la caduta dell’impero romano il toponimo Liburia cade in disuso e scompare dai documenti almeno fino al VII secolo, lasciando il passo al più comune termine “Campania”. Poi un documento del VIII secolo riporta che nel 715, durante il confuso periodo storico in cui la Campania è sottoposta alla dominazione bizantina lungo la zona costiera e a quella longobarda nell'interno con continui spostamenti di confine, il Duca di Napoli sottrae Cuma ai Longobardi, occupando anche le terre “leboree” che da allora vengono indicate come “liburia ducalis”; cioè appartenenti al ducato di Napoli. Va indebolendosi sempre più il potere dell'Impero Bizantino sulla penisola italica a favore di una maggiore indipendenza acquisita dai suoi vassalli, ed i Duchi di Napoli estendono, a poco a poco, il patrimonio del loro Ducato; la Liburia, limitata inizialmente alla piana di Quarto, e poi estesa a Cuma, si dilata sino a Liternum fissando il confine col territorio del principato longobardo di Capua. I territori di questo principato costituiscono la “liburia capuana” e il corso del fiume Clanio, gli attuali Regi Lagni, ne costituiscono il confine sia con la “liburia ducalis” che con un'altra Liburia, la cosiddetta "liburia atellana". I Territori di quest’ultima vanno da Grumo, confinando quindi con la “liburia ducalis”, al luogo detto “a Quartum” ad occidente, sulla via consolare campana che viene a dividere così la Liburia propriamente detta in due parti, l'una verso il mare sotto la dipendenza di Napoli e l'altra verso oriente appartenente alla giurisdizione di Capua ed ai Longobardi.
Anche per la "liburia atellana" il Clanio, a nord, costituisce il confine naturale con la “liburia capuana”, mentre il bosco di S. Arcangelo, nelle vicinanze di Caivano, la delimita ad est. Il già citato documento del 786, relativo ad un “pactum” siglato da Arechi principe longobardo di Benevento ed il Duca di Napoli, cita il toponimo nella sua versione volgare di Liburia.
Ormai, nel corso dei secoli, i confini del territorio identificato come Leboriae si sono ampliati; la denominazione Liburia viene accostata ad una buona porzione del Ducato di Napoli e va gradualmente a riferirsi ad un'area molto più vasta dell'originale comprendente oltre Napoli e Pozzuoli anche le città di Cuma, Aversa, Capua e Atella.
Non solo, ora anche i Longobardi di Benevento e Salerno iniziano ad associare al toponimo Liburia parte delle loro terre, in particolare le zone confinanti con la Liburia napoletana; in tal modo anche i territori di Nola, di Acerra, di Suessola e di Avella sono, per consuetudine, denominati Laborini. Successivamente, nei documenti si ritrova il toponimo Liburia associato anche ad altri territori del Ducato di Napoli verso Amalfi. Il nome viene poi affiliato anche ad altri territori conquistati o persi dal Ducato di Napoli, incluse le isole; nasce quindi, accanto alla “liburia ducalis”, strettamente detta, una Liburia longobarda a seguito della conquista napoletana dei territori longobardi, e una Liburia salernitana, a seguito della conquista salernitana dei territori napoletani. Poi nel 1036 arrivano i normanni e il Duca di Napoli Sergio IV, per ricompensare Rainulfo Drengot dell’aiuto prestatogli contro Pandolfo di Capua, gli cede in feudo la “Terra di Averze”. L’abile principe normanno fortifica ed amplia il feudo a spese dei confinanti arrivando, con la contea e la nuova diocesi di Aversa, a ridosso delle colline che circondano Pozzuoli. Il nipote Riccardo non esita a fregiarsi del titolo di “Comes Liguriae Campaniae”, avendo in pratica la neonata contea di Aversa gli stessi confini dell’antica Liburia pliniana. A questo punto dalla iniziale piana di Quarto la zona denominata Liburia si è estesa prima ai territori immediatamente circostanti il ducato di Napoli e poi, alla fine dell'XI secolo in epoca normanna, a tutta quella che poi verrà indicata come Terra di Lavoro; denominazione questa che farà cadere in disuso il toponimo Liburia.
Per curiosità si restituiscono, ma non avvalorati da base documentale, i passaggi che secondo Flavio Biondo condussero ai mutamenti toponomastici da Campania a Liburia e da Liburia a Terra di Lavoro. Lo storico indica nella volontà delle popolazioni locali di non essere più chiamati campani nel corso dell’alto medioevo, cosa questa che li portava ad essere identificati con l'antica Capua, nemica di Roma. Pertanto reintrodussero il termine Leborini, e da ciò il territorio sarebbe stato detto Leborio o Terra di Lebore. Quest'ultimo nome, poco orecchiabile, sarebbe stato mutato in “Labor”, Terra di Labore, in latino “Terrae Laboris”.
Nel 1221 Federico II istituisce il “Justitiaratus Molisii et Terre Laboris”, uno dei distretti amministrativi, i giustizierati appunto, in cui sono suddivisi i territori del regno. I distretti di giustizia imperiale sono affidati ad un rappresentante del potere regio, il “Gran Maestro Giustiziere”, attraverso il quale l'autorità del re si sovrappone a quella dei feudatari. Solo nel 1538 il Contado del Molise è separato dalla Terra di Lavoro e suo giustiziere diventa quello della Capitanata. La “Terre Laboris”, corrisponde, a grandi linee, alla odierna provincia di Caserta anche se il toponimo andrebbe attribuito in senso specifico al solo territorio che va dal Massico ai Campi Flegrei.
Nel 1227 Federico II fa edificare una dimora fortificata, il Castello “Belvedere” o “Monteleone”, che domina la conca di Quarto e controlla la via consolare campana. Esso è ubicato al confine tra il ducato di Napoli e quello di Aversa ed alla morte di Federico è incendiato da una sollevazione popolare. Viene fatto ricostruire da Carlo I D'Angiò nel 1275 e si fa obbligo a sessanta famiglie di risiedere nelle vicinanze del castello. Questo fortilizio passa di mano varie volte fino a che nel 1630 vi troviamo, quali feudatari residenti, la Famiglia Pignatelli – Monteleone. Essi dominano sulle terre di San Rocco, Quarto, Grotta del Sole e Monterusciello, pertanto sono in molti a considerare questo feudo, ricadente completamente nella competenza della Diocesi di Pozzuoli, quale ultimo lembo dell’antico agro che ancora venga appellato con la dicitura “Liburia”.



Giuseppe Peluso - Quarto Magazine - Febbraio 2012

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