domenica 18 dicembre 2011

Sbarchi a Cuma - Le spie venute dall’Oriente












Sbarchi a Cuma
Le spie venute dall’Oriente

Tra i racconti di mio Padre ricordo un episodio di fine 1942.
E’ appena ritornato, dopo una permanenza di tre lunghi anni, dall’Africa Settentrionale dove il conflitto lo ha coinvolto prima sul fronte tunisino; poi nella riconquista della Cirenaica; nell’assedio di Tobruk; ed infine nella prima battaglia di El Alamein del luglio 1942. Il 4 ottobre, finalmente in Italia, lascia la 25° Divisione di Fanteria “Bologna” ed è inviato alla 5° Compagnia del 230° battaglione di Fanteria Costiera. Questa unità rappresenta il nucleo iniziale del costituendo “Comando Difesa Porto di Napoli” con competenza territoriale lungo tutto il litorale flegreo dalla Foce di Licola a Nisida.
Papà raccontava che nei primi giorni della sua nuova destinazione un'altra compagnia del suo battaglione aveva catturato delle spie inglesi sbarcate da un sommergibile. Era presente quando furono condotte al comando di battaglione e qui interrogate. Per anni non ho dato peso a questa narrazione ma poi, incuriosito, ho fatto delle ricerche e verificato.

Fin dal 1941, lungo tutte le coste italiane, inizia a crearsi un sistema di difesa e pattugliamento volto ad evitare lo sbarco di “commando” e “spie” nemiche intenzionate a contrastare collegamenti e rifornimenti verso i lontani fronti africani e balcanici. Dalla fine del 1942 tale dispositivo di difesa inizia ad essere enormemente rafforzato anche allo scopo, ormai evidente, di bloccare una eventuale invasione che diventa sempre più probabile.
Le fonti consultate riportano che la mattina del 9 ottobre 1942, intorno alle 4.45, due fanti appartenenti al 79° battaglione costiero di stanza a Foce di Napoli, in servizio di pattuglia, trovano un battello semi arenato sulla spiaggia di Licola (foto n.1). Il menzionato 79° battaglione rappresenta il fulcro della difesa costiera che va dalla Foce di Licola al Garigliano. E’ schierato lungo il litoraneo Domizio che fin dal 1941 è definito “Settore Costiero di Reggimento Villa Literno” e poi dal 1° agosto 1942 rinominato 16° Reggimento Fanteria Costiero. In seguito, ma non interessa la nostra storia, il reggimento sarà inserito nella XXXII Brigata Costiera costituita il 25 luglio 1943.
I due fanti avvisano il loro comando che, sospettando un’incursione di commando inglesi, subito procede al rastrellamento della zona di sua competenza. Nello stesso tempo viene allertato anche il comando del 230° Battaglione costiero, con sede ufficiale a Pozzuoli ma comando a Baia, che ha competenza nel confinante territorio flegreo. Poche ore dopo, nella campagna di Cuma, una pattuglia ferma due ufficiali, un tenente di fanteria ed un tenente medico, che stanno mangiando dell'uva. I due destano sospetti per la non perfetta "pronuncia italiana" e sono in possesso di una notevole quantità di danaro e di tessere contraffatte. In seguito, nelle vicinanze del canotto, altri soldati trovano dei pezzi di ricambio per apparecchi radio.

Le due presunte spie vengono portate al comando del 230° battaglione e qui interrogate dal maggiore di fanteria Zecchin che vediamo nella seconda foto, scattata da mio Padre qualche mese dopo il corrente episodio. Al maggiore rivelano i loro veri nomi, Amauri ed Egone Zaccaria e si dichiarano "italiani genuini". Ma nel corso dell’interrogatorio cadono in diverse contraddizioni; finiscono quindi con l’ammettere di essere stati sbarcati da un sommergibile per trasmettere via radio informazioni agli inglesi. Aggiungono però di essere cittadini italiani residenti in Egitto e di aver accettato la missione solo per tornare in patria ed evitare l’internamento in un campo inglese di prigionia. Gli argomenti sono tutt’altro che convincenti; i due vengono condotti al comando dei Carabinieri di Pozzuoli che li prende in custodia e li denuncia al “TSDS - Tribunale Speciale Difesa dello Stato”. Questo Istituto provvede ad avviare il procedimento ed a farli trasferire a Roma. Le note informative che giungono sul tavolo degli inquirenti peggiorano la loro posizione. Viene appurato che trattasi di Zaccaria Amauri, nato a Fiume il 26 giugno 1913, di professione meccanico e militare in congedo del Regio Esercito. Del fratello Zaccaria Egone, nato a Fiume il 6 gennaio 1917, disertore del Regio Esercito. Entrambi figli di Alessandro Zaccaria e di Maria Soucek.
Dal rapporto del maggiore dei carabinieri Carmelo Cocco risulta che i due fratelli appartengono a una famiglia di "antiitaliani" e di "filocomunisti". Amauri, militare in congedo, è sospettato da tempo di attività antifascista; Egone è colpito da mandato di cattura come disertore, entrambi hanno diversi precedenti per furto. I genitori, Alessandro e Maria sono definiti agenti stranieri "accertati"; lei è internata a Montefusco, mentre Alessandro, dopo aver lavorato per i servizi inglese e iugoslavo, per sottrarsi all'arresto, nel febbraio 1941 è fuggito in Jugoslavia dove è diventato "un capo del movimento Partigiani della Croazia". Secondo una nota del “SIM – Servizio Informazioni Militari”, i fratelli Zaccaria avrebbero fatto parte dell'Armata britannica del Medio Oriente, agli ordini del generale Wavell.
Durante l’istruttoria Amauri ed Egone sono costretti a modificare la versione fornita al momento dell’arresto e rivelano tutta l’attività da loro svolta a favore degli inglesi tentando di giustificare la collaborazione offerta. Amauri sostiene di aver lasciato l’Italia nel 1940 alla ricerca di un lavoro. Giunto a Susak, in Jugoslavia, si è rivolto al consolato francese per ottenere un impiego nelle colonie francesi, ma senza risultato. A Susak però ha conosciuto un inglese, tale Peter che gli ha assicurato un’occupazione in Oriente. Desiderando offrire la stessa opportunità al fratello, che si trovava in servizio di leva presso un battaglione di "sloveni" ad Avellino, è tornato in Italia, ha raggiunto Egone e lo ha convinto a disertare conducendolo con sé a Susak. Dalla città croata i due fratelli, tramite un tale Haimes (o Evens) del consolato inglese, hanno raggiunto Istanbul dove è avvenuto il loro effettivo arruolamento nel “IS”, “Intelligence Service" britannico. Dalla Turchia sono stati inviati a Haifa, Gerusalemme e, infine, a Il Cairo. In Egitto, dove la loro permanenza è relativamente lunga, hanno accettato di interrogare gli internati italiani e sono stati addestrati all’uso delle radio trasmittenti e alla decodificazione dei cifrari. Terminato l’addestramento sono stati assegnati alla base operativa di Malta da dove è partito il sommergibile che li ha sbarcati sulla costa flegrea.
Rinviati a giudizio, i due confermano quanto dichiarato nell’istruttoria e ribadiscono di aver collaborato con gli inglesi per avere l’opportunità di tornare in Italia "allo scopo di renderci utili al nostro paese". Il 9 novembre vengono condannati a morte "per essere agenti del “IS” britannico e per avere fra l’agosto 1940 e il 9 ottobre 1942 commesso in Italia e all’estero fatti diretti a favorire le operazioni militari del nemico a danno dello stato italiano.."

Questa ricostruzione presenta alcune anomalie o ingenuità incomprensibili anche per novelli agenti segreti. Ne cito solo alcune tra le più evidenti.
- Il battellino abbandonato e non affondato o occultato; indice di ingenuità tendente alla probabile volontà di farsi scoprire.
- Il materiale radio abbandonato nelle vicinanze dell’approdo; indicatore del proposito di non voler utilizzare queste apparecchiature a favore degli inglesi.
- Il gustarsi serenamente dell’uva (sembra che la stessero rubando nel fondo dei Poerio) quando sicuramente erano stati da poco rifocillati a bordo del sommergibile; indice questo della tranquillità con cui avevano intrapreso la loro passeggiata flegrea.
- Il non essersi allontanati rapidamente dal luogo di sbarco ed essersi al contrario diretti verso Cuma che già allora inizia ad essere un guarnito caposaldo della difesa costiera; indice questo della loro determinazione nel volere incontrare subito truppe italiane.
- Il non essersi liberati, nell’imminenza della cattura, delle monete e delle tessere contraffatte; indice questo del desiderio di voler documentare la fantastica storia che di li a poco avrebbero raccontato.

Chi furono veramente i fratelli Zaccaria? Ingenui fuoriusciti? Incalliti ladri speranzosi di prendersi gioco di italiani ed inglesi? Desideravano ritornare in Italia per aiutare il nostro ed il loro Paese? Furono veramente eroici agenti britannici che, tenendo ben nascosta fino all’ultimo la loro vera missione, seppero affrontare dignitosamente il loro martirio? Purtroppo non sapremo mai la verità!

La sentenza viene eseguita da un plotone della “Milizia” il 10 novembre 1942, il giorno dopo il suo pronunciamento, presso il Forte Bravetta (foto n. 3). Questo forte è costruito alla fine dell’Ottocento, assieme agli altri ancora oggi esistenti, per cingere Roma con una linea fortificata. Nel 1919 viene adibito a deposito di munizioni e di artiglieria e i vasti spazi interni sono utilizzati come poligono di tiro. L’abitudine di addestrare le reclute all’uso dei fucili nell’area poligonale suggerì, probabilmente, la decisione di utilizzare gli stessi spazi per le esecuzioni. Così per 13 anni, dal 1932 al 1945, il Forte Bravetta è il luogo deputato per le esecuzioni capitali da eseguirsi a Roma.
Queste avvengono di mattina presto per poter trasportare i cadaveri al Verano, prima che lo stesso cimitero venga aperto al pubblico. I condannati sono rinchiusi nel carcere di “Regina Coeli” e sono svegliati dagli agenti di custodia. Fatti uscire dalla cella vengono ammanettati e condotti nel cortile dell’edificio dove li attende un furgone. Saliti sull’automezzo si unisce a loro il cappellano del carcere mentre le guardie collocano in un angolo dell’automezzo l’occorrente per l’esecuzione: corde, sedie, bende e paletti di legno. L’autocarro percorre velocemente le vie di Trastevere, raggiunge il Gianicolo, supera Porta San Pancrazio e giunge in via di Bravetta. Il furgone entra all’interno dell’edificio dove, su un terrapieno, attendono un gruppo di funzionari e un plotone di “militi” armati di moschetto modello ’91 comandati da un “capomanipolo”. Gli agenti consegnano i detenuti al plotone e sistemano le sedie una accanto all’altra fissandole al terreno con i paletti. Poi il comandante ordina che i condannati siano bendati e legati alle sedie con le spalle rivolte al plotone e dispone i soldati su due file. Infine l’ufficiale legge la sentenza e ordina il fuoco: la prima fila di soldati mira alla schiena, l’altra alla testa. Finita l’operazione il giudice istruttore, il medico legale e il rappresentante del Governatorato di Roma stendono il verbale su cui viene scritta l’ora: le 5,15.

Il cappellano del carcere di Regina Coeli, don Cosimo Bonaldi, che ha assistito spiritualmente i fratelli Zaccaria al momento dell’esecuzione, dichiara, nella sua breve relazione che i due "..dimostrando resipiscenza e rassegnazione si sono mantenuti calmi.."
Mio Padre non ha mai saputo di questa tragica conclusione; oggi i nomi dei due militari sono annotati nella lapida, posta nel punto in cui avvenivano le esecuzioni, che riporta i nominativi di tutti i fucilati a Forte Bravetta. Gli stessi sono anche ricordati, con i nomi slavizzati di Zakarija Amauro e Zakarija Agon, tra i martiri partigiani prima dalla Socijalistička Federativna Republika Jugoslavija e poi dalla odierna Repubblica di Croazia.

Giuseppe Peluso 

BIBLIOGRAFIA
Roberto Zanni - Forte Bravetta - Roma
Carmine Peluso - Diario Fotografico - 1939/1943
WWW.freebacoli.wordpress.com/
AUSMMU - Schede detenuti - 1940/1943


2 commenti:

  1. Non trovo un solo rigo sulla più famosa cittadina di Pozzuoli, la Scicolone, forse non ho letto tutto.. come non trovo traccia della via tranviaria che pure pare partisse dal porto, comunque trovo molto interessante il tuo blog, anche se non riesco a farlo coincidere con i miei ricordi..di puteolano puro sangue!

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    1. Carissimo.
      Ti ringrazio dell'intervento. Avrei piacere di scambiare con te idee e commenti. Sarebbe gradito un tuo indirizzo e.mail.. Ciao Peppe

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